“Pull a Pig” – I rischi del web

“Quando Tommy si avvicina per invitarla al ballo, Carrie non ci può credere. Il ragazzo
più affascinante della scuola e lei, la più insignificante, quella più odiata. La bullizzata.
Carrie non sa che Tommy l’ha invitata solo perché la sua ragazza gli ha chiesto di farlo,
né può immaginare che ad attenderla nel momento in cui si sente più bella e forte ci sarà
un atroce scherzo creato allo scopo di distruggere la sua autostima”.
Quella che avete appena ascoltato è parte della trama di “Carrie”, libro edito da Stephen
King nel 1974, ben 43 anni prima che un fenomeno conosciuto come “Pull a pig” riempisse
le pagine dei giornali on line, dopo la denuncia di una ragazzina inglese sul web.

Cos’è il Pull a pig? E’ un “nuovo” gioco in voga fra i giovani. Si sceglie la ragazza più
brutta della discoteca (o quel che è) e la si rimorchia, solo per il gusto di vincere la sfida a
chi prende (pull) la più brutta e grassa. Ovviamente la parte più succulenta di tutto è
rivelare poi la verità alla malcapitata, per leggere nei suoi occhi il dolore di aver scoperto
che un momento bello era solo uno scherzo crudele. Letteralmente la traduzione è
“inganna un maiale”. Generalmente, funziona con un gruppo di amici . Un “prescelto” del
gruppo finge infatti di corteggiarla, di interessarsi a lei, fino al momento in cui la povera
malcapitata cede alle avances. Molto spesso inizia una vera e propria relazione, che
culmina con la convinzione di lei di essere amata dal ragazzo. Fino a quando lo scherzo
termina con un messaggio crudele e cinico: <<You’ve been pigged>> ossia “sei stata
piggata”.
Il fenomeno, già nelle menti di alcuni giovani, si è cristallizzato di recente a seguito della
denuncia di una ragazza inglese, Sophie, divenuta tristemente famosa per questo game. La
24enne, in vacanza a Barcellona, aveva conosciuto in discoteca un ragazzo olandese, Jesse,
che si era dimostrato molto interessato a lei e l’aveva corteggiata, tanto che Sophie si era
innamorata, convinta di essere ricambiata. Successivamente, il ragazzo le aveva chiesto di
andarlo a trovare ad Amsterdam, ma, una volta arrivata nell’albergo dell’appuntamento,
invece di trovare il fidanzato, Sophie si è trovata da sola con un messaggio sul telefono da
parte del ragazzo in questione: “You’ve been pigged”. Si era trattato dunque di uno scherzo
architettato con l’unico scopo di ferire la ragazza.
Purtroppo, non sembra essersi trattato di un caso isolato: il crudele gioco è giunto anche in
Italia, come è emerso dagli ultimi fatti di cronaca. Cercando sul web se ne ha testimonianza
dal 2016 in poi un paio di volte, sempre in casi denunciati dalle vittime di questo gioco. E
anche in quelle occasioni le reazioni sono state sempre le stesse. Si dice qua e là che “questi
giovani d’oggi, hanno perso ogni valore, colpa di internet, un gioco che umilia le donne,
colpa dei videogiochi, etc.” Non è esattamente (e solo) così. Ma ci sono stati altri casi anche
in Italia. Il caso di Irene, ad esempio, raccontato per prima da Selvaggia Lucarelli su “Il
Fatto Quotidiano”, narra di una trentenne vittima di un caso simile a quello di Sophie. Nel
2015, Irene, che non vive un periodo di pace con il proprio corpo, viene contattata
dall’amministratore di un gruppo segreto su Facebook: “mi ha invitata a diventare
membro. Si trattava di uno dei soliti gruppi a sfondo indirettamente sessuale e dal
linguaggio aggressivo. Mi lusingava dicendo che ero una delle poche elette, delle poche
ammesse. Lì fa amicizia con un ragazzo che, per due mesi, la riempie di attenzioni e
premure, fino a che lei accetta di incontrarlo. Passano insieme tre giorni, ma dopo lui
sparisce, e Irene si trova con l’amara sorpresa: alcune sue foto di spalle, pubblicate proprio
in quei gruppi segreti cui era stata invitata a partecipare e dove erano stati creati thread
apposta per umiliarla, sia per il peso, che per essersi illusa di poter piacere a qualcuno. La
ragazza comunque ne esce.
In realtà parlarne in termini ludici è sbagliato. Il “pull a pig”, che è evidentemente gioco
diseducativo – fenomeno di cui ho avuto modo di parlare nel corso di un evento tenutosi a
Casamassima (Ba) lo scorso 7 luglio 2019, dove si è parlato dei gusti, delle tendenze
giovanili e dei profili di responsabilità connessi al web, assieme con uno staff composto
da una collega penalista, neuropsichiatra infantile, psicologo ed assistente sociale – deve
essere identificato fondamentalmente come bullismo puro e semplice.

Il fenomeno del bullismo mutua il funzionamento, le fasi, gli intenti. La logica del game è il
corteggiamento e il sesso, i quali vengono usati come un’arma per offendere
un’altra persona. In particolare trattasi di uso e abuso del sesso, che evidentemente ai
loro occhi appare solo come un oggetto, senza emozioni e sentimenti, che non merita
considerazione. Quando in realtà sono tutte mortificazioni che possono minare
profondamente l’autostima e che lasciano un segno profondo in chi ne cade vittima.
Il ruolo che il web riveste è indubbiamente determinante per i ragazzi, che appartengono a
quella che viene definita come la Generazione Hashtag. Vi sono vari fenomeni connessi tra
loro, da cui il fenomeno pull a pig parte, quali il Sexting, ossia l’invio e la condivisone di
immagini o filmati a sfondo sessuale, attraverso l’uso dello smartphone e dei social
network. È un fenomeno che, purtroppo, si sta diffondendo pericolosamente tra gli
adolescenti che condividono attraverso la tecnologia anche gli aspetti più privati,
annientando il concetto di intimità e il confine tra pubblico e privato. Non si limita allo
scambio di materiale intimo e hot tra fidanzati, ma comprende anche la condivisione
dell’intimità tra amici, in cui ci si scambia contenuti sessualmente espliciti, compresa la
masturbazione, anche all’interno dei gruppi WhatsApp. I ragazzi tendono a fidarsi delle
persone a cui inviano il materiale intimo e non si rendono conto dei reali pericoli che
corrono: adescamento da parte di pedofili e adulti malintenzionati (grooming),
possibilità che foto o video siano rivenduti al mercato della pornografia online, rischio di
subire ricatti o minacce a sfondo sessuale (sextortion). Spesso, inoltre, subiscono
vendette pornografiche (revenge porn) da parte di ex partner che pubblicano questo tipo
di contenuti dopo essere stati lasciati o traditi, appunto per vendicarsi o vengono presi di
mira sul web, diventando vittime di cyberbullismo e della gogna mediatica, con
conseguenze psicologiche anche molto gravi. E l’età dei ragazzi si sta tragicamente
abbassando.

Conseguenze penali. Purtroppo non esiste una fattispecie di reato che prevede
espressamente una simile condotta e, spesso, punirla può essere difficile. Se, infatti, il
bullismo vero e proprio può configurare molteplici reati (come quello di percosse, lesioni,
diffamazione, minaccia, stalking, molestia o disturbo alle persone), il gioco “Pull a pig” in
sé e per sé è ancora più insidioso perché, a ben guardare, non è coperto da una tutela
penale neanche indiretta. Una novità rilevante e relativamente recente è offerta dalla L. 29
maggio 2017, n. 71, Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del
fenomeno del cyberbullismo (GU n.127 del 3-6-2017) la quale ha regolamentato la
responsabilità penale per bullismo che, all’art. 2, consente ai genitori ed al minore
ultra-quattordicenne di rivolgersi direttamente al gestore del sito, inviando un’istanza per
ottenere l’oscuramento, la rimozione o il blocco dei dati personali del minore pubblicati in
rete. In caso di inerzia del soggetto interpellato, è possibile chiedere l’intervento del
Garante per la protezione dei dati personali. Ulteriore novità degna di nota è stata
collocata all’interno dell’art. 7 della legge in oggetto, e riguarda la procedura di
ammonimento. In particolare, il Legislatore ha scelto di affidare all’autorità di pubblica
sicurezza (il Questore) il potere-dovere di intervenire, su richiesta della vittima, in modo
celere ed efficace, ancor prima della presentazione di una denuncia/querela .
Il principale collegamento tra sanzione penale ed il risarcimento civile tuttavia si evince dal
combinato disposto degli artt. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito) e dell’art. 2046
Codice Civile (Imputabilità del fatto dannoso). Una certa importanza in queste
problematiche assume, indubbiamente, il ruolo dei genitori, che dovrebbero vigilare (il
condizionale è d’obbligo) su ciò che il bambino, prima ancora che diventi adolescente,
vede sul web. Ma tutto questo viene veicolato bene soltanto se alla base c’è una
equilibrata educazione sentimentale.
La valutazione compiuta in questo senso dal Giudice civile, caso per caso, è atta ad
accertare l’effettiva “Capacità delittuale”, a differenza di quanto accade nel ramo
penalistico ove sussiste l’assoluta non imputabilità del minore infraquattrordicenne. Ciò
comporta la possibilità di attribuire anche al minore, sebbene incapace di agire, una
responsabilità civile per gli atti compiuti, della quale inevitabilmente, dal punto di vista
patrimoniale, risponderanno i genitori (responsabilità ai sensi del combinato disposto tra
l’art. 2047 e 2048 c.c).

Art. 2047 c.c.. In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il
risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di
non aver potuto impedire il fatto. Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto
ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione
delle condizioni economiche delle parti, può condannare l’autore del danno a
un’equa indennità. Art. 2048 Codice Civile. Il padre e la madre, o il tutore sono
responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle
persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica
all’affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili
del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono
sotto la loro vigilanza. Le persone indicate sono liberate dalla responsabilità soltanto se
provano di non aver potuto impedire il fatto.

Danno civile. La vittima può agire in sede civile per richiedere il risarcimento del danno
non patrimoniale patito in conseguenza dell’odiosa condotta. La prova liberatoria, cui la
norma attribuisce un contenuto negativo, ha assunto così un contenuto positivo, per di più
duplice: si chiede infatti ai genitori di dimostrare, per andare esenti da responsabilità, di
aver convenientemente educato il minore e/o di aver vigilato la sua condotta in modo da
prevenire la commissione dell’illecito; non è pertanto sufficiente per il genitore provare di
non aver potuto materialmente impedire la commissione del fatto.
In tale prospettiva la responsabilità dei genitori tende ad assumere connotati di oggettività.
Tuttavia, la responsabilità dei genitori non si potrà ipotizzare in relazione al dovere di
educazione per il solo fatto che il minore abbia agito illecitamente. Dovrà, invece, essere
possibile individuare, a causa dell’anormalità e gravità del fatto o a causa degli evidenti
difetti di personalità del minore, un nesso di causalità fra gli inadempimenti ai doveri
educativi da parte dei genitori ed il fatto dannoso

Chi avesse avuto la sfortuna di subire il “pull a pig”, per cui è stato preso in giro
sentimentalmente come pure sessualmente, ha subito sofferenze morali e patemi
d’animo con compromissione della qualità della vita, della vita di relazione e del pieno
sviluppo della persona nelle formazioni sociali, elementi questi dei quali il giudice potrà tenere
conto per cercare, in qualche modo, di fare giustizia.

A mio personale avviso, il genitore dovrà responsabilizzarsi cercando abilmente (e per quanto possibile) di controllare il sistema web usato dai figli, senza essere invasivo. Controllo che non è concetto arcaico e neppure
vacuo. Avendo oramai chiara la portata del fenomeno che definisco come una
“trasposizione della distorta e abnorme immagine del sesso con modalità da bulli,
applicata sul coetaneo e non”, il genitore, che abbia anche la fortuna di intercettare un fatto
perpetrato a mani di un figlio, può intervenire in tempo. Aiutare il proprio figlio
minorenne (ed aiutarsi) per non incorrere nelle responsabilità richiamate, perchè si cerchi
di non contribuire alla crescita del fenomeno.

Barbara De Lorenzis

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