Il 16 Ottobre 2019, dinanzi al TAR Lazio, in occasione della discussione del ricorso proposto da 21 tra Avvocati ed Associazioni nei confronti del CNF ed alcuni “incandidabili”, ed avente ad oggetto la declaratoria di incandidabilità di suddetti soggetti per la violazione della Legge sul “doppio mandato”, il difensore dei resistenti, Prof. Francesco Cardarelli, nella sua arringa difensiva, ha definito i ricorrenti “pletora” e “quisque de populo”.
Poiché un mio amico è molto ignorante e la vecchiaia comincia ad incalzarlo (a 52 anni non è più reattivo come quando ne aveva 42), temendo di non aver letto bene i resoconti dell’udienza come propalati da chi era presente, volendo salvaguardare il principio di verità, ha riletto più volte gli stessi resoconti, convincendosi così che il rimbambito non era di certo lui.
Ed allora, per il gusto di curare la cultura personale e per rispolverare antichi ricordi scolastici (il liceo classico l’ha terminato nel Luglio 1986, con risultati decisamente positivi – 51/60), il mio amico ha cercato di comprendere i termini “così altamente e pomposamente” utilizzati dal Prof. Cardarelli avverso persone che, magari, lui quotidianamente (forse) definisce “colleghi”.
Quindi, consultando il Vocabolario della Treccani, ha fatto queste scoperte: “plètora s. f. [dal gr. πληϑώρα «pienezza, sovrabbondanza», der. di πλήϑω «esser pieno»]. – 1. In medicina: a. Nella terminologia medica del passato, condizione di marcata floridezza dell’organismo attribuita a generica sovrabbondanza della massa di sangue circolante (oggi detta ipervolemia) o ad aumento del numero dei globuli rossi (attualmente policitemia). b. Per estens., presenza nel sangue di eccessiva quantità di metaboliti (colesterolo, lipidi, acido urico, ecc.). 2. In patologia vegetale, abbondanza anormale di succhi in una pianta. 3. Nell’uso com., in senso fig., sovrabbondanza, quantità eccessiva rispetto alle reali necessità, che provoca in genere conseguenze negative” (il corsivo è, ovviamente, il mio).
Non contento ed in evidenza non fidandosi delle sue rimembranze “latine”, il mio amico ha ripreso in mano il suo Castiglioni – Mariotti (peraltro, oggi utilizzato da sua figlia, che frequenta – ahilei! – la 5^ Ginnasio), per tradurre “quisque de populo” uscendone sconcertato: il quisque de populo è praticamente “uomo della strada”, un “non addetto ai lavori”, “il cittadino medio”.
Di fatto, quindi, 21 Avvocati (non importa se bravi od asini professionalmente) sono stati definiti da un avvocato cattedratico “una sovrabbondanza inutile di uomini della strada” (nella accezione negativa dei termini), senza neanche vedersi riconosciuti dell’inciso successivo (gradito, a questo punto) “con tutto il rispetto per gli uomini della strada”, per il sol fatto di aver messo in discussione un sistema che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, una Legge dello Stato e la Corte Costituzionale hanno dichiarato contra legem (o fuorilegge).
Poiché il mio amico si ritiene una persona che sa di non sapere e, pur facendo l’avvocato civilista, mette in dubbio la sua conoscenza del codice di procedura civile e delle norme sul mandato in particolare, è andato a rivedere la disposizione dell’art. 84, codice di procedura, laddove, al comma 1, prevede che “quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore, questi può compiere e ricevere, nell’interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati”. Ergo, il difensore quando – nell’ambito del processo – proferisce affermazioni o scrive, agisce in nome e per conto del cliente… almeno così ha capito il mio amico.
Ed allora, a seguito della lettura dei resoconti di chi era presente, alla discussione dinanzi al TAR, il mio amico (forse frettolosamente o forse ingenuamente … o forse anche azzeccandoci) ha tirato su, nella sua testa, una equazione che non fa una grinza: se il difensore del CNF, nell’espletamento del proprio mandato, definisce 21 Colleghi una pletora di quisque de populo e tali affermazioni si devono ritenere fatte in nome e per conto del CNF (che lo paga con i soldi nostri … ma è un dettaglio di secondo piano, questo), ne discende che, di fatto, il CNF e gli assistiti del menzionato difensore ritengono i 21 ricorrenti delle fetecchie per il solo fatto di aver osato prendere posizione contro l’illegalità (può dirlo il mio amico? O corre il rischio di un deferimento al CDD o di una querela o di una azione per il risarcimento dei danni morali?).
Ed allora il discorso cambia! Se l’Organo di autogoverno della Avvocatura (il CNF, appunto), che è pieno zeppo di plurimandatari (in primis, il suo presidente addirittura acclamato, con grave colpa di tutti i votanti) i quali devono reputarsi e dichiararsi illegali (stavo scrivendo “fuorilegge”; ma mi sembrava eccessivo), ritiene chi osa mettere in dubbio il loro potere, una pletora di quisque de populo, può, questo, essere ritenuto degno di rappresentare tutta la Avvocatura Italiana?
Quanti di noi – a questo punto – si sentono rappresentati da chi, abbarbicato alla propria poltrona nonostante la Cassazione, la Legge e la Corte Costituzionale, si prende il lusso di guardare con disprezzo (e dall’alto verso il basso), peraltro senza averne diritto, i propri Colleghi?
Quale rappresentante istituzionale che, lo scorso dicembre, ha provveduto ad inviare al CNF il proprio rappresentante distrettuale, affermo che le considerazioni del prof. Cardarelli mi fanno sentire profondamente umiliato e vilipeso, nella mia funzione di Consigliere dell’Ordine, di rappresentante di quasi 7000 Colleghi del Foro di Bari, di iscritto all’Albo degli Avvocati di Bari, di Presidente di una Associazione (Futuro@Forense) che fa parte di un Coordinamento di Associazioni (il Coordinamento Nazionale delle Associazioni Forensi, appunto) che della lotta all’illegalità ha fatto la propria bandiera.
In tutta onestà, mi vergogno per chi ha proferito tali frasi e chiedo scusa ai Colleghi italiani, per la supponenza e la presunzione di un organo istituzionale, rappresentato giudizialmente in quel modo. Non una parola di scuse ho sentito, da parte del CNF, del “professore” e dei suoi mandanti (nel senso tecnico di soggetti che gli hanno conferito il mandato a rappresentarli e difenderli in giudizio, di fatto autorizzandolo a sparare quella enorme castroneria). Me ne rammarico!
Nei mesi scorsi, proprio dal CNF è stato coniato l’inciso “linguaggio dell’odio”, a testimonianza del fatto che taluno stava cercando di mettere la “popolazione forense” italiana contro le istituzioni (il minuscolo è voluto!).
A quanto pare, il linguaggio dell’odio era ben conosciuto nelle istituzioni (il minuscolo è sempre voluto!) e, come dice il quisque de populo, se pensi qualcosa degli altri, è perché tu per primo lo sei. Mutatis mutandis (non è una parolaccia!), di fatto il CNF per primo usa il linguaggio dell’odio contro chi si permette di mettere in dubbio il suo potere.
Ed il cerchio si chiude.
Ecco a voi la decadenza dei costumi!
O tempora o mores (e pensare che il latino non serviva, secondo la vulgata o una pletora di quisque de populo).
Nicola Zanni