Levata di scudi degli Avvocati italiani contro la Legge di riforma della prescrizione del reato, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2020.
L’Unione delle Camere Penali italiane, invero, ha proclamato l’astensione da tutte le attività giudiziarie, a partire dal 21 sino al 25 ottobre 2019, al fine di protestare contro l’entrata in vigore di una riforma che si teme possa avere ripercussioni gravissime sui diritti fondamentali dei cittadini.
La nuova disciplina della prescrizione del reato è contenuta nella Legge anticorruzione 9 gennaio 2019 n° 3 (c.d. legge spazza-corrotti), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 13 del 16 gennaio 2019 e recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”.
A ben vedere, la riforma, fortemente voluta dall’attuale Guardasigilli Alfonso Bonafede, con l’intento di ridurre i tempi della giustizia ed arrivare a celebrare i processi entro il limite massimo di quattro anni, prevede interventi anche in materia di lotta alla corruzione delle pubbliche amministrazioni e di trasparenza di partiti e movimenti politici, e relativi finanziamenti.
E’ sul tema della prescrizione, tuttavia, che al momento si è concentrata l’attenzione dei giuristi di tutta Italia: la relativa disciplina, contenuta nell’art. 1, lett. d), e), f) della suddetta L. 9 gennaio n° 3/2019, ha infatti modificato gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale.
L’art. 158 c.p., nella nuova formulazione, stabilisce che il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione.
In merito al dies a quo del reato continuato, pertanto, ha trovato riviviscenza un principio che era stato soppresso nel 2005 con la legge ex Cirielli, in virtù del quale la prescrizione, attesa la concezione unitaria del reato, comincia a decorrere non più dal momento di commissione di ciascun reato interessato dalla continuazione, bensì dal momento in cui la continuazione è cessata.
Il nodo cruciale che, nondimeno, ha sollevato numerose proteste da parte dei penalisti, è rappresentato dalla riformulazione dell’art. 159 c.p., il quale prevede la sospensione del decorso della prescrizione a partire dalla pronuncia della sentenza di primo grado (non solo di condanna, ma anche di assoluzione!), o del decreto di condanna, sino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.
Sostanzialmente, si è osservato che la L. n° 3/2019 andrà ad abrogare la L. n° 103/2017 (c.d. Riforma Orlando), che aveva invece ideato un procedimento di sospensione del decorso della prescrizione del reato che tenesse conto dell’esito del processo, prevedendo due eventuali e successivi periodi di sospensione della prescrizione, pari ad un anno e sei mesi ciascuno, ma solo in caso di condanna, sia in primo che in secondo grado.
Le criticità evidenziate dai più autorevoli esponenti del mondo accademico, invero, sono state molteplici: in primis, è stato rilevato come la Riforma ideata dal Ministro della Giustizia Bonafede non tenga conto del fatto che la maggior parte dei reati si prescrive durante la fase delle indagini preliminari; per altro verso, la sospensione sine die dei suddetti termini contraddice, frustrandoli, molteplici principi di rango costituzionale.
Costringere, infatti, un individuo a sopportare un processo eterno, che già di per sé costituirebbe per chiunque una vera e propria pena in senso lato, violerebbe non solo il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., ma anche il principio di non colpevolezza ex art. 27 comma 2 Cost., tenendo presente che la pena, dovendo altresì tendere alla rieducazione del condannato ai sensi dell’art. 27 comma 3 Cost., in tale contesto non risulterebbe, molto verosimilmente, più idonea ad assolvere compiutamente la sua funzione, soprattutto a distanza di tantissimo tempo dal fatto commesso.
Andrebbe, infatti, considerata la circostanza che il trascorrere di un eccessivo lasso di tempo comporterebbe, per l’imputato, sempre maggiori difficoltà nel reperire le prove a sua discolpa, evenienza che andrebbe inevitabilmente a violare altresì il diritto di difesa facente capo ad ogni individuo, sancito nell’art. 24 della Costituzione.
In questo quadro complessivo, sarebbe forse stato più utile predisporre un incremento delle risorse al fine di potenziare l’efficienza dell’apparato giudiziario, piuttosto che intervenire sull’Istituto della prescrizione, la quale trova la sua ratio nell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, assegnando allo Stato il dovere di tentare di provare l’eventuale colpevolezza di un cittadino in tempi ragionevoli, anziché condannarlo, quand’anche innocente, ad un processo senza fine.
Vincenzo Scarafile