A partire dalla ben nota inchiesta giudiziaria su Bibbiano, si leggono e si sentono molte inesattezze e illazioni sugli affidi e la tutela dei minori in Italia. Queste inesattezze sono facilmente individuabili, se si cerca di capire come funziona realmente il sistema di cui si parla. L’affido provvisorio di minori a una famiglia diversa da quella biologica avviene in situazioni rare, in cui una valutazione collettiva – nella quale hanno un ruolo parti molto diverse e indipendenti: genitori, scuola, assistenti sociali, avvocati, tribunali – ha concluso che le difficoltà ad assicurare al minore un ambiente idoneo sono in quel momento insuperabili. Il fine ultimo dell’affido è riunificare ed emancipare la famiglia, non separarla, in modo che il minore possa farvi ritorno in condizioni migliori il prima possibile. Per questo indubbiamente è fondamentale non confondere i singoli casi con il tutto, distinguere i ruoli e le responsabilità dei soggetti giudiziari e di quelli del servizio sociale, considerare non solo i diritti dei genitori ad avere con sé il proprio figlio ma anche e innanzitutto i diritti dei bambini ad avere relazioni familiari sane.
Succede generalmente che ad una procedura di allontanamento di un minore dalla propria famiglia di origine fa seguito a una segnalazione alle forze dell’ordine, ai servizi sociali o direttamente al tribunale per i minorenni, e può provenire da chiunque. Succede che la detta procedura possa essere azionata a seguito di una procedura cautelativa civile azionata da un genitore che, nell’intento di sfuggire a comportameti prevaricanti e violenti del partner o ex partener, chieda tutela allo Stato e di contro ne riceva una segnalazione da parte del PM, il quale letteralmente non si fida della vicenda in sè pur avendo appurato che la mal capitata è il soggetto debole della vicenda e non entrambi i genitori di un minore, e faccia egli stesso ricorso per affidamento provvisorio dei figli minori ai servizi sociali, così adendo formalmente i servizi sociali.
Paradosso del sistema, ma dobbiamo dire che questo è il sistema, che si arroga il diritto di dubitare della capacità dei membri della famiglia di risolvere le difficoltà con percorsi di sostegno e preferisce devolvere la questione famigliare alla competenza dei tribunali per i minori così spostandone gli equilibri e facendola divenire a tutti gli effetti una questione sociale.
Il presidente del CNOAS (Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali), Gianmario Gazzi, spiega come tutti possono fare una segnalazione: «la scuola, il pediatra o i vicini di casa. In una situazione-tipo, l’intervento dei servizi sociali ha sempre come primo obiettivo evitare di arrivare all’allontanamento, dando innanzitutto supporto alla famiglia e al minorenne». Infine, Gazzi precisa: «Non sono i servizi sociali che decidono l’allontanamento, ma i tribunali dopo aver sentito tutti i soggetti coinvolti, servizi sociali compresi». L’asino casca proprio qui, anzi diremo sempre qui, poichè è evidente oramai come il giudice del TM abbia così tanto in debita considerazione il giudizio dell’assistente sociale, da non avere la necessità di monitorare i meccanismi interni al sistema, anzi qualche volta sapendo a quale struttura protetta indirizzare nelle situazioni di disagio minorile, senza monitorare le dinamiche socio culturali e famigliari e provare a trovarvi adeguata soluzione.
Su minori e giustizia, gli avvocati non ci stanno a rimanere in disparte. Oggi l’impostazione del nostro diritto minorile è tale per cui, in occasione di un allontanamento coatto di un bambino dalla famiglia secondo l’ex articolo 403 del Codice Civile, l’avvocato della difesa non ha quasi la possibilità di intervenire. Quanto successo nei mesi scorsi a Bibbiano, ma anche in tante altre situazioni da Nord a Sud, non dovrebbe (ma il condizionale è d’obbligo) più capitare. Per questo l’Avvocatura italiana, già nei mesi scorsi, ha approvato un manifesto «per l’effettività della tutela dei diritti e per la salvaguardia della Giurisdizione». In particolare al n. 6 si spiega che «la Giurisdizione si attua mediante le regole e i principi costituzionali del ‘giusto processo’, nel pieno ed effettivo contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, davanti ad un giudice sempre ‘terzo, imparziale e professionale’, entro una durata ‘concretamente ragionevole’». Sullo sfondo il grande problema dell’ascolto del minore che oggi, secondo quanto previsto dalla legge, avviene senza la presenza né dei familiari né dell’avvocato difensore.
Una scelta indubbiamente dettata da motivi di cautela e di protezione nei confronti del bambino, soprattutto quando si sospetta che il piccolo possa avere subito violenze o maltrattamenti tra le pareti di casa. E il principio sarebbe ineccepibile.
Il caso Bibbiano, e non solo, ha purtroppo convinto anche i più garantisti dei garantisti, che non sempre le relazioni dei servizi sociali fotografano situazioni reali, che non sempre il ‘superiore interesse del minore’ è davvero la prima preoccupazione dei terapeuti, che forse talvolta interessi economici o ideologici, finiscono per prevalere. Proprio per questi motivi le relazioni dei servizi sociali, non essendo fondate su un percorso a cui l’avvocato e il suo consulente abbiano potuto prendere parte, non possono essere concretamente contestata nel merito. Oggi l’unico strumento per opporvisi da parte dell’avvocato difensore sarebbe la querela per falso, al solo fine di provocare un nuovo accertamento, questa volta in sede penale e quindi con garanzie di difesa. In alternativa si potrebbe chiedere una Ctu (consulenza tecnica d’ufficio) sulla capacità genitoriale, ma per prassi l’accertamento sarebbe demandato agli stessi servizi sociali, con un evidente controindicazione rispetto al principio del precipuo interesse della famiglia e soprattutto del minore. Tale posizione naturalmente non sarebbe esente da problematiche, giacchè la famiglia, per l’appunto disagiata, è costretta a sobbarcari spese ingenti nel caso in cui la querela non trovi riscontro in sede processuale, con la possibilità di una controquerela per diffamazione da parte dei servizi sociali. Assolutamente impensabile pensare che le famiglie da sole riescano a controbattere un sistema che sembra essere trainato in modo prepotente da due soggetti: Tribunale per i minorenni e servizi sociali. Tutta da definire anche la figura del curatore del minore, oggi prevista dalla legge, ma di fatto poco presente.
Il caso Bibbiano, dapprima emarginato da un Ministro della Giustizia disarmato che faceva spallucce dinanzi alla richiesta di istituire una commissione ministeriale ad hoc, così addirittura dichiarando la sua incompetenza, oggi finalmente viene dallo stesso attenzionato. E’ di pochi giorni or sono l’annuncio del governo, che segue ad un altro di agosto: «La protezione dei bambini è una priorità», ha affermato il Ministro, nell’annunciare il nuovo giro di vite.
L’inchiesta amministrativa annunciata da Bonafade – che non si sovrappone alle indagini giudiziarie – sarà portata a termine dall’Ispettorato del Ministero della Giustizia al Tribunale per i Minorenni di Bologna. Il ministero ha anche annunciato che a breve saranno resi noti i dati sul monitoraggio degli affidi in tutta Italia, allo scopo di fornire un quadro di dati chiaro, omogeneo e su base nazionale”. Nell’attesa, la nuova inchiesta dev’essere letta come ulteriore volontà di approfondimento, stimolata direttamente dal ministro che, si spiega, «va oltre le sole forme dell’acquisizione documentale e che prevede anche la consultazione del protocollo riservato e l’audizione diretta degli interessati: magistrati professionali e onorari, personale amministrativo, altri soggetti in grado di fornire informazioni in merito alla vicenda e anche rappresentanti del foro locale».
Il Ministro della Giustizia vuol vederci chiaro, anche nei rapporti extraprofessionali tra magistrati e operatori del settore minorile. Ci saranno verifiche dei ‘protocolli riservati’ con l’audizione dei diretti interessati .
La questione, per il signor Ministro oggi improvvisamente scotta, sostanzialmente perchè è divenuto terreno fertile di scontro politico . Verrebbe da dire “eh già!”.
“ Ciò che è accaduto a Bibbiano non sono semplici episodi riconducibili a qualche operatore disonesto ma è la conseguenza di un sistema che non funziona ” sostiene dalle colonne l’ex magistrato Francesco Morcavallo, “dimessosi nel 2012 da magistrato proprio perché in disaccordo con un metodo imperfetto che spesso devasta le famiglie nei suoi legami più importanti”, oggi avvocato civilista. Secondo Morcavallo il problema è nel funzionamento della giustizia, perché “ogni provvedimento non lo fa l’operatore dei servizi sociali ma un giudice che firma e si prende la responsabilità di allontanare un bambino dai suoi genitori” ed è difficilissimo che poi “un giudice ribalti ciò che gli operatori scrivono nelle relazioni”.
“La Giustizia non deve fare la ‘morale’ ma accertare se i fatti ci sono o no. Stiamo parlando di 500 mila bambini affidati, una follia. Siamo certi che ci siano famiglie così inadempienti con i propri figli o forse stiamo spesso parlando di veri e propri ‘rapimenti di Stato”? . Questa la chiosa del dott. Morcavallo.
Personalmente non credo nella miopia del sistema, qui rappresentata dalla persona del signor Ministro, che a tratti può anche essere apparsa strumentale, credo intanto nella presbiopia di un ex magistrato minorile per il suo naturale “affaticamento visivo”, che a furia di osservare e controllare il dettaglio degli affidi e del terribile asse Tribunale – Servizi sociali abbia la visione stanca e dilatata, e che soprattutto abbia il coraggio di alzare le mani e denunciare.
Non vorremmo pensare che ci sia una Bibbiano in un provvedimento di decadenza genitoriale dietro un disagio famigliare, dietro gravi difficoltà economiche oppure dietro una separazione giudiziale caratterizzata da alta conflittualità .
Bibbiano non è certo finita , e dovremmo parlare di Bibbiano e giu di lì. O su di lì.
Barbara De Lorenzis
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