E’ ormai notorio quanto verificatosi nella classe forense (e non solo), a causa della diffusione del Covid 19. E dopo la bufera che ha stravolto e travolto la popolazione, a livello mondiale, si comincia a fare la conta dei danni.
La nostra categoria professionale sta vivendo un grave momento di difficoltà per diverse motivazioni e le ultime settimane hanno portato alla ribalta l’inquietudine e l’incertezza legati alla attività forense. Diverse sono state le iniziative promosse a livello nazionale e tenutesi dinanzi ai Palazzi di Giustizia: flash mob e gesti simbolici per lanciare grida di dolore e richieste di aiuto allo stato di oblio in cui la Giustizia appare ancora sospesa. Si sono viste consegne di toghe, abbandoni di tesserini di iscrizione e di codici, appelli al Ministro della Giustizia, discussioni accese tra Colleghi fuori e all’interno dei social, il tutto mosso dalla consapevolezza che il Paese sta piano piano ritornando alla normalità, lasciando, invece, la Giustizia e tutti i suoi operatori in un limbo di incertezza, in una condizione di sospensione priva di futuro e sicurezza.
I singoli Tribunali hanno predisposto protocolli organizzativi che paiono svincolati gli uni dagli altri, come se ognuno agisse per coltivare il proprio giardino, dimenticando l’idea di unitarietà che si anela quando si tratta di combattere per un bene comune e la Giustizia deve ed è un bene della collettività, non del singolo Avvocato, Magistrato o Cittadino. E’ mancato l’ascolto e il dialogo con chi, quotidianamente, si muove all’interno delle mura dei Palazzi, avvocati, cancellieri, istituzioni, utenti, un ascolto ed un dialogo che sono fondamentali per la ripartenza di un settore primario per una società civile, se vuol definirsi tale.
Far ripartire la macchina della Giustizia non è cosa da poco, questo è comprensibile, ma non impossibile. Sarebbe auspicabile la partecipazione attiva di tutti le componenti della classe forense a livello nazionale al fine di adottare iniziative celeri ed efficaci che possano permettere una partenza dignitosa e duratura e tener conto di una ipotetica, ma purtroppo non prevedibile né auspicabile, riacutizzazione della pandemia. Sarebbe opportuno lavorare e progettare sin d’ora nuove forme di sostegno economico, rivedere le modalità operative delle udienze, riconoscere che la classe forense non appartiene ad un singolo settore economico, ma è fondamentale nel sistema produttivo nazionale. Sarebbe opportuno uniformare i protocolli emanati a livello nazionale, riprendere l’attività delle udienze, sebbene nel pieno rispetto delle norme igienico-sanitarie.
Per far questo si dovrebbe pensare a ripristinare l’attività delle e nelle cancellerie utilizzando il tanto vilipeso Processo Telematico, mai, in questo momento, invocato come soluzione di tanti problemi, primo fra tutti l’accesso da remoto alle cancellerie e l’aggiornamento in smartworking dei fascicoli. Si dovrebbe pensare ad un nuovo modo di celebrare le udienze, senza ledere i diritti di alcuno (utenti, avvocati, cancellieri e magistrati) e consentire accessi contingentati e, quindi, protetti, nelle aule; lo svolgimento della udienza da remoto laddove non sia strettamente necessaria la presenza delle parti oppure presenziandovi personalmente previo appuntamento; recuperare i ritardi dovuti alla pandemia attraverso l’abolizione (temporanea) della sospensione feriale ed utilizzando anche la fascia pomeridiana per la celebrazione delle udienze, finanche il sabato e la domenica. Perchè se davvero si intende ripartire lo si deve fare con uno spirito di sacrificio maggiore, ma che viene compiuto per il bene comune e in nome della collettività. Altrimenti inutili risulteranno essere i tanti flash mob, le lagnanze, i malumori di chi si trova a fronteggiare enormi difficoltà economiche senza uno spiraglio di luce alla fine del tunnel dal quale, solo in maniera compatta, se ne potrà uscire.
E allora anziché ritrovarci “l’un contro l’altro armati”, dovremmo prima di tutto capire che, solo unendo le forze di tutti coloro i quali hanno a cuore le sorti della Giustizia, si potrà uscire da questo stato di catalessi, seppur con qualche cicatrice in più.
Un dato è certo: non possiamo permettere ad un virus che tanto ci ha sottratto in termini di vite umane, di energia, di tempo, di danaro, di vincere anche sui nostri ideali e sui valori nei quali crediamo; riprendiamo, allora, in mano i nostri Codici e torniamo ad indossare le nostre toghe, restituendo dignità e forza alla nostra professione.
“Diligite iustitiam, qui iudicatis terram: amate la giustizia voi che governate la terra” (Sapienza I, 1)
Antonella Labianca