Diritto di critica e libertà di espressione

“ASSOCIAZIONE DIPENDENTI GIUDIZIARI ITALIANI
Registrata con atto n° 2537 del 16 marzo 2016
Roma, 11 giugno 2020
Al Signor Ministro della Giustizia
Alfonso Bonafede
segreteria.ministro@giustizia.it
Egregio Signor Ministro,
il suo comunicato stampa del 5 u.s. ribadito, con evidente compiacimento e soddisfazione, sulla sua pagina Facebook impone un ineludibile intervento della scrivente Associazione.
Dobbiamo prendere atto, per l’ennesima volta e con rammarico, come gli innumerevoli impegni che il suo ruolo istituzionale impone, non siano stati in alcun modo ostativi alla favorita audizione delle varie associazioni di rappresentanza dell’avvocatura e alla dovuta successiva consultazione con l’ANM, mentre la consultazione di quella componente del “sistema giustizia” rappresentata dai lavoratori giudiziari non trova mai riscontro.
Il tutto contestualizzato in un momento di particolare disagio legato non solo allo stato di emergenza sanitaria ma al clima di elevata conflittualità scatenato da reiterati attacchi, inaccettabili nella forma quanto infondati nella sostanza, che varie associazioni di categoria degli avvocati stanno da settimane perpetrando nei confronti dei lavoratori giudiziari tacciati, a loro dire, di essere “tenuti a casa senza fare niente” ed additati quali principali responsabili della presunta paralisi della giustizia in Italia.
L’A.D.G.I. si è, finora, volutamente astenuta dall’accettare un confronto su tali infimi livelli, livelli per il quale il Consiglio dell’Ordine di Bari il 26 maggio c.a., ha doverosamente richiamato i propri iscritti ad un più consono ricorso al diritto di critica nel rispetto del proprio Codice Deontologico, ma l’emanazione del suo comunicato nel quale invoca un “ritorno alla normalità in tempi celeri” assume un peso specifico decisamente diverso e, ce lo consenta, dolorosamente mortificante non solo per la già ribadita mancanza di considerazione della categoria dei giudiziari ma per l’effetto sortito agli occhi di parte dell’avvocatura.
Ne è prova l’assurda richiesta che il Consiglio dell’Ordine di Napoli l’ 8 c.m. ha inoltrato ai capi degli uffici giudiziari partenopei nella quale richiede che gli vengano forniti “i dati relativi alle attività svolte dal personale amministrativo, … , nelle modalità di lavoro agile e sugli applicativi resi disponibili dal Ministero della Giustizia per il lavoro da remoto” avocando a sé “la verifica della effettiva produttività e utilità del lavoro agile nel comparto Giustizia e nella valutazione, che senza dubbio compete all’Avvocatura, della compatibilità del lavoro a distanza con le esigenze legate alla celebrazione dei processi civili e penali” anche “al fine di assicurare il raggiungimento dell’obiettivo del Ministro” di far ripartire la Giustizia.
Signor Ministro, dobbiamo forse dedurne che lei abbia conferito apposito mandato all’Avvocatura?
Perché in caso contrario, i lavoratori giudiziari, almeno i 32.000 superstiti in servizio sui 43.000 previsti in pianta organica, che hanno tutti superato un concorso pubblico per essere immessi al servizio dello Stato e non alle dipendenze dei singoli Ordini dell’Avvocatura italiana, non riescono a comprendere la legittimità delle richieste verifiche e valutazioni.
Allo stato lo smart working, ai sensi del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 e successive integrazioni e modifiche, è la modalità di lavoro ordinaria per il personale del pubblico impiego fino al 31 luglio 2020 ed il Ministero, nelle sue varie articolazioni, ha stabilito le modalità di organizzazione del lavoro agile e le possibilità – a nostro avviso troppo limitate – di accesso esterno ai sistemi informatici in uso negli uffici giudiziari e monitora regolarmente sia il quantitativo di personale presente in sede che le attività svolte da remoto, come riportato nel documento ufficiale DOG “I numeri della Giustizia l’emergenza covid-19” (la fase 1 primo aggiornamento).
Per questo l’A.D.G.I. si augura vivamente che i Capi degli uffici giudiziari napoletani si astengano dal fornire quanto, a nostro parere, indebitamente preteso.
E’ indubbio che la Giustizia italiana necessiti con urgenza di interventi appropriati e mirati al suo efficientamento ma questo, Signor Ministro, è quello che l’art. 110 della nostra Costituzione demanda espressamente ed esclusivamente a Lei laddove testualmente recita “… spettano al Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.”.
Ove Lei, e non l’Avvocatura, ritenga che l’attuale organizzazione non sia funzionale al buon andamento degli uffici giudiziari, potrà e dovrà farsi promotore di apposita norma primaria che giustifichi, per il personale giudiziario in deroga alle leggi vigenti, la non applicazione dello smart working previsto per i pubblici dipendenti.
La normalità sig. Ministro è un concetto che anche noi vorremmo si realizzasse negli uffici giudiziari, tante volte ospitati in locali fatiscenti e sporchi, con attrezzatura informatica ormai superata, e soprattutto con il numero di personale giudiziario come determinato nelle piante organiche. Il personale della Giustizia, che non si è mai fermato durante l’emergenza COVID, è stanco di sentirsi dimenticato, di non vedere riconosciuti i sacrifici e i risultati che ha ottenuto durante questi mesi difficili e negli anni precedenti in cui ha assistito impotente al progressivo depauperamento degli uffici fra l’altro senza il meritato riconoscimento professionale dovuto.
Il personale ha diritto di essere difeso dagli attacchi volgari di certa parte dell’Avvocatura, di certa parte della stampa perché costituisce parte integrante del sistema GIUSTIZIA, che ha bisogno di tutte le sue componenti per ripartire, per ripartire davvero.
Confidiamo in un suo autorevole intervento e offriamo la nostra consueta disponibilità per un incontro che ci auguriamo vorrà fissare al più presto.
Roma, 11 giugno 2020
Per il Direttivo Il Presidente A.D.G.I.”

 

Vedo che la ADGI, inopinatamente, cita la delibera del COA di Bari del 26 maggio (che, per opportuna conoscenza, riporto nella parte interessata) e con la quale, invitando gli iscritti ad un uso più prudente dei social, evidenzia come “il Diritto di critica (al pari del Diritto di cronaca e di satira) è costituzionalmente garantito, sempre nel rispetto delle norme di legge (art. 21 della Costituzione) e che la libertà di espressione del proprio pensiero soggiace inevitabilmente al principio di cd. continenza, che presuppone che le espressioni utilizzate rispettino i requisiti minimi di forma”.

Ebbene, a dispetto di ciò che si legge (sia nella lettera al Ministro, che in alcuni commenti), ritengo che la menzionata delibera sia stata completamente travisata, visto che alcuni (non avvocati) stanno utilizzando termini da crociata contro la Avvocatura, dichiarando che “i lavoratori giudiziari, almeno i 32.000 superstiti in servizio sui 43.000 previsti in pianta organica, (che) hanno tutti superato un concorso pubblico per essere immessi al servizio dello Stato e non alle dipendenze dei singoli Ordini dell’Avvocatura italiana”. La stessa ADGI, nel menzionato comunicato, criticando la richiesta (definita “assurda”) del COA di Napoli dell’8 Giugno u.s., si domanda se “dobbiamo forse dedurne che lei abbia conferito apposito mandato all’Avvocatura?”, solo perché sono stati richiesti <i dati relativi alle attività svolte dal personale amministrativo, … , nelle modalità di lavoro agile e sugli applicativi resi disponibili dal Ministero della Giustizia per il lavoro da remoto” avocando a sé “la verifica della effettiva produttività e utilità del lavoro agile nel comparto Giustizia e nella valutazione, che senza dubbio compete all’Avvocatura, della compatibilità del lavoro a distanza con le esigenze legate alla celebrazione dei processi civili e penali” anche “al fine di assicurare il raggiungimento dell’obiettivo del Ministro” di far ripartire la Giustizia>.

La menzionata richiesta del COA di Napoli è legittima e, laddove, fosse ritenuta lesiva della dignità di qualcuno, si potrebbe fare sempre una querela o un esposto. Con tutti i rischi di una denunzia per calunnia!”

Nicola Zanni

Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Bari e

Presidente di Futuro@Forense

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