Il 23 giugno 2020, si è celebrata una manifestazione in Piazza Prefettura “salviamo la giustizia” in cui gli Avvocati del Distretto di Corte di Appello di Bari (che comprende i fori di Bari, Trani e Foggia) hanno protestato perché, di fatto, si sta celebrando il funerale della giustizia e, tra le altre cose, si è chiesto che i processi ricomincino a celebrarsi nelle aule di giustizia e non piuttosto “da remoto” oppure attraverso la “trattazione scritta” o “a data da destinarsi” dato che i rinvii ruotano intorno ad una media di 9 mesi.
Durante la manifestazione è emerso che soltanto il 30% dei processi si è celebrato in questo periodo e, comunque la si voglia vedere, la percentuale è davvero molto bassa. In una situazione come quella in cui ci si è trovati, si sarebbero dovuti celebrare il 70% dei processi e, quindi, le percentuali si sarebbero dovute invertire.
Ma anche in questo siamo un paese sui generis. Ed infatti quel 30% dei processi che hanno continuato a camminare, a parere di chi scrive, riguarda i procedimenti che ai sensi dell’art. 83 comma 3 D.L. 18/2020 erano esclusi dalla “sospensione”.
Tutto il resto invece sì perché, in questo paese, si fanno valutazioni etiche su quali giudizi si possono bloccare e quali no, discriminando di fatto i giudizi, le persone e gli avvocati, perché coloro che si occupano di “materie” che possono attendere, possono di punto in bianco smettere per un po’ di fare gli avvocati e dedicarsi a qualche hobby!
Chi scrive, in tempi non sospetti, quando cioè le Istituzioni tutte (Governo in primis e i rappresentanti delle categorie di coloro che mandano avanti la macchina della Giustizia in secundis) si erano affrettate a “rassicurare” tutti – ma proprio tutti – sul fatto che “non ci sarebbe stato alcun rinvio di massa dei processi come qualcuno aveva erroneamente interpretato”, in un suo precedente contributo, diceva che “sarebbero stati i fatti (ovvero i rinvii) a darmi ragione”.
Non posso nascondere che mi piace l’idea di avere sempre ragione, tuttavia in questo caso avrei preferito essere stata smentita dai fatti, ma il presente è esattamente quello che era stato da più parti delineato a fine aprile del 2020 e cioè che, a distanza di 2 mesi, quelle che erano delle mere previsioni si sono rivelate una dura realtà.
Giusta ed opportuna, dunque, la manifestazione del 23 giugno (forse tempisticamente sarebbe stato meglio farla un po’ prima), tuttavia quello che emerso è stata certamente una partecipazione sotto tono da parte della Avvocatura.
Ci si sarebbe attesi e aspettati maggiore partecipazione, ma evidentemente la non unità della Avvocatura è venuta fuori in tutta la sua portata. Almeno per una volta si sarebbero dovute mettere da parte le divergenze di politica forense, perché qui sono in gioco diritti costituzionalmente garantiti che vanno oltre qualunque divergenza e diversità.
Vi sono poi coloro che, in questi momenti, decidono di non manifestare non perché hanno una divergenza di opinioni, bensì perché preferiscono stare sempre alla finestra a “godersi lo spettacolo”, a stare dinanzi alla tv “come pubblico non pagante” e poi criticare attraverso la tastiera e dietro magari il monitor di un pc.
Ecco, questi sono i peggiori (a prescindere dall’ambito in cui ci si trova) perché tutte le volte in cui non si esercita un proprio sacrosanto diritto quale è quello di protestare, tutte le volte in cui non si esercita un proprio sacrosanto diritto come quello di voto, di fatto costoro PERDONO IL DIRITTTO di lamentarsi, di dire che le cose non vanno bene e che occorre un cambiamento.
Che la tanto auspicata fase 2 abbia inizio (forse sarebbe dovuta già iniziare) ovvero è meglio a questo punto passare direttamente alla fase 3!
NOI CI SIAMO!
Eugenia Acquafredda