È notizia di queste ore quella secondo cui la percentuale degli ammessi agli orali dell’esame per la abilitazione all’esercizio della professione di avvocato per l’anno 2019 sia “solo” del 35%.
Questo il Titolo del Sole 24 Ore: “Praticanti avvocati: solo il 35% passa agli orali – Le Associazioni annunciano ricorsi”.
Si riporta, dunque, uno stralcio del suddetto articolo “A poche ore dalla pubblicazione degli esiti delle prove scritte dell’esame d’abilitazione forense, l’Associazione italiana praticanti avvocati (Aipavv) fa sapere che la percentuale di aspiranti legali che avranno accesso alla fase finale dell’esame, agli orali, è inferiore al 35% dei partecipanti (…) Un risultato nettamente al di sotto delle aspettative e che testimonia il fallimento di un sistema di verifica anacronistico e che presta da sempre il fianco a numerose illegittimità. (…) i praticanti puntano il dito contro gli effetti dell’emergenza Covid che avrebbe compromesso l’uniformità della procedura di correzione degli elaborati scritti (…) Un modus operandi che avrebbe finito col danneggiare pesantemente decine di migliaia di giovani italiani che hanno ricevuto una valutazione negativa dei loro elaborati priva di una pur minima motivazione”.
Da quanto emerge, sembrerebbe addirittura essere già stato conferito mandato ad uno studio legale perché predisponga ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e, quindi, da buoni giuristi quali siamo, attendiamo l’evolversi della situazione.
Nel frattempo tuttavia a chi scrive andrebbe di condividere un paio di riflessioni su quanto emerso e vorrebbe farlo con occhio critico e non invece polemico, perché il punto di vista di chi scrive non è solo quello di un avvocato, bensì è anche quello di chi svolge attività di tutoraggio presso la Scuola Forense (scuola di formazione per i praticanti avvocati) e di chi “ogni tanto” si affaccia all’università sia per tenere delle lezioni che per interrogare gli studenti ad un esame obbligatorio per il corso di laurea in giurisprudenza ed economia.
Orbene, chi vi scrive è una persona molto autocritica e, al giorno d’oggi, l’essere autocritici è diventato quasi anacronistico per non dire “fuori luogo” e quindi se non supero una prova al 99% è dipeso da me!
Io sono dell’opinione che se non si è superata una prova (per esempio un esame all’università, ovvero gli scritti per l’esame di avvocato) non è colpa degli altri, bensì non si era adeguatamente preparati o pronti e quello, dunque, non era il momento giusto.
Già ai tempi del liceo si diceva che il professore, poiché ti aveva preso in antipatia, ti metteva voti insufficienti anche se ai miei tempi i miei genitori non avrebbero mai sostenuto una tesi del genere, cosa che avviene invece sovente ai tempi attuali.
Magari in qualche caso può essere anche stato vero (io al liceo non stavo antipatica ad alcun professore mentre invece sto antipatica molto di più adesso che sono avvocato) ma, per tornare a quel 65% che non ha superato gli scritti, mi sembra piuttosto – la polemica sollevata – un tentativo mal riuscito per non dire maldestro di giustificare un livello di preparazione generale dei candidati che è davvero ridimensionato rispetto al passato e che si rispecchia in quel dato che poi è emerso.
Un passo falso ci può stare, ma l’unico strumento a nostra disposizione che abbiamo per evitare passi falsi non solo in sede di esame ma soprattutto quando si eserciterà a professione è lo studio, ma non uno studio meramente mnemonico, bensì uno studio con alla base un metodo.
Perché se non si ha un metodo di approccio allo studio i risultati saranno sempre più deludenti e se non si acquisisce un metodo di studio e di lavoro prima o poi le aspettative verranno disattese.
Ed infatti, all’università molto spesso lo studio è solo mnemonico e magari è anche sufficiente per superare l’esame, ma di quell’argomento “studiato” a memoria ti resterà ben poco di lì a qualche settimana.
Stessa cosa dicasi per l’esercizio della professione di avvocato che richiede necessariamente la acquisizione di un metodo di approccio alle “questioni giuridiche” sottese al caso concreto e che non potrà mai prescindere dall’interpretazione della norma o delle norme.
Ed invece oggi più che mai si è scelto un altro metodo di “studio” ovvero andare su google mettere la parola chiave e vedere quante notizie ci sono sull’argomento.
Questo metodo tuttavia viene acquisito sin dai primi anni della scuola e, pertanto, diventa il modo certamente più immediato ma il meno efficace per trovare la risposta.
Io credo che contino molto i maestri che si incontrano lungo il cammino della vita anche scolastica, dal maestro/a della scuola elementare fino ad arrivare a quel dominus che poi ti accompagnerà con i suoi insegnamenti ad approcciarti alla professione.
Ben venga una riforma dell’esame, ben venga il diritto alla tutela dei propri interessi legittimi, ma un avvocato è anche colui che non coltiva giudizi infondati e che non alimenta false illusioni e, quindi, ripartiamo da noi, dalla nostra capacità di autocritica e dal saper accettare anche le sconfitte, perché quel 65% di praticanti avvocati saranno avvocati, ma non per forza quest’anno.
Noi ci siamo!
Eugenia Acquafredda