L’avvocato in udienza dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari al tempo del coronavirus

C‘era una volta un Avvocato il quale per caso (non essendo una tributarista e dunque una habituè di certe aule di udienza) si trovava a dover discutere dei ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari durante il periodo Covid.
Giunto alle ore 09.00 (orario di udienza indicato a tutti) in Via Amendola sotto il porticato (da un lato vi è la CTP e dall’altro la CTR) che conduce ai piani (al piano 8° sono ubicate le aule di udienza) incontrava tanti, ma davvero tanti altri colleghi (avvocati e commercialisti) che come lei dovevano discutere una o più ricorsi, ma l’accesso ai piani era inibito stante i protocolli anti Covid.
Incontrava un carabiniere (forse volontario) non si sa, il quale munito di elenco e di ordine di chiamata cominciava a dare letteralmente i numeri poiché tutti i professionisti gli chiedevano l’ordine di chiamata delle cause e contestualmente consegnava loro un modulo da compilare nel quale ciascun professionista doveva dichiarare di non avere sintomi riconducibili al Covid e prima di poter salire ai piani alti – è davvero il caso di dirlo – doveva misurare la temperatura e segnarla su tale modulo.
Prima scena davvero bizzarra, colleghi che cercavano di compilare tale modulo senza avere alcuno spazio su cui poggiarsi e, quindi, c’era chi utilizzava la spalla di un collega, chi la propria coscia, chi il vetro scrivendo in verticale e chi si è letteralmente seduto persino sui quei gradini
(direi per terra) che portano nella anticamera prima del vano ascensore.

Ma parliamo di questa bella anticamera che poi conduce al vano ascensore, la quale si presentava completamente vuota e in cui invece si sarebbero potute benissimo posizionare e mettere a disposizione delle sedute per permettere almeno ad alcuni e magari a turno di sedersi.
Ed invece si è rimasti tutti in piedi. Ci si aggirava per il porticato in attesa di essere chiamati chissà a che ora, dato che era troppo complicato pensare di fare un elenco di chiamata ad horas delle cause e, quindi, centellinare gli accessi ed il risultato è stato vedere ancora una volta colleghi seduti sui gradini o chi come me ha trovato posto su un muretto in fondo al porticato in cui almeno poggiare le borse.
Mi sono sentita un po’ come uno dei protagonisti di quel bel telefilm italiano degli anni ‘80 “i ragazzi del muretto” e lì sono rimasta fino a quando alle ore 10.30 circa non mi è avuto il bisogno fisiologico di andare in bagno.

Ho chiesto ai colleghi che frequentano abitualmente la CTP o la CTR come facessero in questi casi ed è venuto fuori che gli stessi o andavano al Bar, effettuando una consumazione per poi approfittare del bagno del Bar oppure non andavano in bagno!
Ed invece l’avvocato estemporaneo di quei luoghi – decisa a rivendicare i propri diritti – chiedeva ed otteneva di poter salire ai piani in cui si volgono le udienze per poter andare in bagno e, dunque, in quel momento ho capito che a volte siamo noi stessi professionisti che permettiamo di farci mettere i piedi in testa, ma in cambio di cosa?
Mi sono infatti domandata: il non ribellarsi per le condizioni disumane in cui siamo costretti ad attendere una chiamata di udienza, quasi fossimo animali raminghi in cerca di cibo quando invece siamo lì per difendere i diritti dei nostri clienti è una scelta? Certo che è una scelta, ma una nostra scelta e non possiamo prendercela con nessuno se non con noi stessi.
Ebbene, tutto ciò mi sembra una offesa al decoro della nostra professione eppure tutto ciò è permesso da qualche anno a questa parte e lo permettiamo ancora di più adesso che c’è il Covid. Mi aspetto che le Istituzioni che ci rappresentano, prendano le opportune iniziative per
organizzare meglio l’attività di udienza dinanzi alle Commissioni Tributarie.
Faranno qualcosa?
Ovviamente chiedo per un amico!

Eugenia Acquafredda

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