Il paragrafo 11 del Regolamento UE n° 235/2014 stabilisce che “Le libertà fondamentali di pensiero, coscienza e religione o credo, espressione, assemblea e associazione sono i prerequisiti del pluralismo politico, del processo democratico e di una società aperta”.
Gli stessi principi sono richiamati, oltre che dall’art. 21 della nostra Costituzione, anche dall’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti Umani, in cui si specifica che ogni individuo ha il diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
In tale contesto, pertanto, osserviamo come il mondo digitalizzato nel quale viviamo ci offra la possibilità di comunicare istantaneamente con chiunque, di lavorare online, di esprimere liberamente i nostri pensieri e le nostre opinioni nonché di accedere alle più svariate fonti di informazione.
Il rovescio della medaglia, in questo marasma di notizie che ci piovono costantemente addosso alla velocità della luce, consiste nel fatto di non essere sempre in grado di riconoscere ed evitare le c.d. “fake news”, ossia le notizie false, dal cui novero vanno escluse quelle palesemente ironiche, sarcastiche, parodistiche, goliardiche o satiriche.
Tali notizie sono, ad esempio, quelle provenienti da fonti inattendibili o basate su dati inesistenti, oppure quelle che presentano un fondo di verità, ma che vengono intenzionalmente manipolate, distorte e condivise in rete per scopi politici o al fine di trarne in qualche modo un profitto (disinformazione), o semplicemente quelle condivise in buona fede sui social network dagli utenti, eventualmente fuorviati da fonti non ufficiali, non verificate o ingannevoli (misinformazione).
Sgombriamo immediatamente il campo da possibili equivoci: il sale della democrazia è sicuramente il dibattito, motivo per il quale non si sta discutendo dell’opportunità di censurare le teorie e gli studi, anche minoritari, contrastanti col pensiero dominante, che animano il confronto dialettico alimentando lo scambio di idee tra diversi professionisti delle più disparate materie, bensì ci si riferisce alle notizie prive di qualsivoglia pregio scientifico, se non addirittura dannose poiché in grado di destabilizzare, disorientare, trarre in inganno l’utente.
Ciò detto, appare evidente che il fatto di riuscire a condizionare il convincimento dell’opinione pubblica, attraverso il potente strumento dell’informazione, costituisca una questione di massima importanza, soprattutto con riferimento ad argomenti di una certa rilevanza sociale.
Per quanto concerne la mera libertà di espressione e di opinione di ciascun cittadino, il nostro Ordinamento non impone un preciso dovere di dire la verità né prevede particolari limiti, se non quelli dettati dalle norme poste a presidio dei diritti della persona contro le espressioni ritenute lesive della dignità umana, come nel caso, a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, della diffamazione ex art. 595 c.p.
Il discorso si complica, tuttavia, quando si parla del diritto di informare – c.d. diritto di cronaca e libertà di stampa, alla quale è parificata l’informazione online – e quello di essere informati, quest’ultimo inteso quale espressione del pluralismo informativo improntato alla completezza, correttezza e qualità dell’informazione a cui il cittadino ha diritto di accedere.
La Corte Costituzionale, a tal proposito, ha più volte chiarito che i principi consacrati nell’art. 21 della nostra Carta fondamentale trovano il loro limite nella tutela e nel bilanciamento degli altri diritti di rango primario, laddove si accolga la tesi per cui uno Stato democratico debba perseguire sempre la ricerca della verità in virtù del principio dell’affidamento del cittadino nei confronti delle Istituzioni.
L’art. 21 Cost., dopo aver stabilito che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure e non può essere sottoposta a sequestro se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria, specifica che sono vietate le pubblicazioni, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume, prevedendo altresì che le restrizioni alla libertà di espressione siano coperte da riserva assoluta di legge.
Sul piano della tutela penale, l’art. 656 c.p. stabilisce, inoltre, che “chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate, tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309”, principio richiamato altresì dall’art. 265 c.p., che disciplina il reato di “Disfattismo politico”, tuttavia valido solo in tempo di guerra.
L’art. 658 c.p., disciplinando il reato di “Procurato allarme presso le Autorità”, sancisce che “chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da euro 10 a euro 516”.
Secondo il nostro Ordinamento, pertanto, la libertà di informazione trova il suo limite, oltre che nel caso di manifestazioni contrarie al buon costume (c.d. limite espresso), anche qualora la circolazione di notizie false o inesistenti, relativamente ad argomenti di massima importanza e rilevanza sociale, sia idonea a creare turbamento dell’ordine pubblico e a suscitare allarme presso le Autorità (si parla, in tal caso, dei c.d. limiti impliciti, tra cui rientrano altresì la tutela della riservatezza, dell’onore e della reputazione, la sicurezza nazionale, il dovere di garantire il funzionamento della giustizia), mentre non è punibile penalmente chi diffonde, volontariamente o meno, notizie false qualora queste siano insuscettibili di arrecare un danno effettivo alla collettività.
Tali principi, del resto, trovano riscontro anche a livello sovranazionale; pensiamo, ad esempio, all’art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, secondo il quale “ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera”.
Nel secondo comma, tuttavia, viene specificato come “l’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”, precisando altresì che gli Stati hanno la facoltà di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
Per ciò che concerne la libertà di informazione in rete, nel corso degli anni è stato coniato un nuovo termine per descrivere le notizie false che circolano soprattutto nei social network, ossia le c.d. “Bufale”, a cui hanno spesso fatto da contraltare diversi siti ideati proprio allo scopo di verificare l’attendibilità delle fonti e procedere ad una corretta contro-informazione.
E’ del mese di luglio 2020, inoltre, la notizia dell’approvazione, da parte della Camera dei deputati, della proposta di legge ordinaria concernente la “istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla diffusione intenzionale e massiva di informazioni false attraverso la rete internet e sul diritto all’informazione e alla libera formazione dell’opinione pubblica”, presentata nell’ agosto 2018 dal deputato del PD Emanuele Fiano.
La tematica è rimessa al vaglio del Senato, ma sul fronte della lotta alle fake news, qualcosa si sta muovendo.
Vincenzo Scarafile