La c.d. giurisdizione domestica e le eccezioni: chi si sente legibus solutus? e perché?

È storia recente e ne è stata data notizia anche sulla pagina fb della Associazione Futuro@Forense: con delibera del 6 Luglio 2021, il COA di Bari – a maggioranza ed in assenza (giustificata già da qualche giorno) dell’interessato – ha “stigmatizzato” (termine ormai di moda) il comportamento di un Consigliere dell’Ordine, reo di aver sottoscritto (quale Presidente di una associazione forense) una lettera di accompagnamento al Coa ed al Cpo, di un comunicato con cui venivano auspicate e richieste le dimissioni della Presidente del Cpo e di chi aveva licenziato la bozza di regolamento elettorale del Cpo stesso, senza prevedere (colpevolmente?) il limite del doppio mandato, ormai Legge dello Stato.

Al netto di ogni altra considerazione e specificando che ogni eventuale “problematica” personale nascente da quella delibera, troverà la giusta discussione negli ambiti di competenza, da allora ci si dovrebbe porre un paio di domande.

Innanzi tutto, è possibile che, nonostante i vari convegni accreditati (dal Coa) e di cui ci si riempie la bocca, ad ogni passo, il Coa stesso possa procedere a “processi interni” sommari ed emettere provvedimenti disciplinari impliciti (quale le stigmatizzazioni e i richiami ad una seria e ponderata valutazione della questione e al rispetto istituzionale in virtù della carica che lo stesso ricopre)  pur in assenza di norme ad hoc?

E poi: quale credibilità può avere una categoria che si definisce “sentinella della democrazia”, salvo poi il Coa censurare un suo rappresentante, reo di aver preso posizione contro un’altra “istituzione”?

Questi sono dubbi che tutti si dovrebbero porre, per il bene di tutti i colleghi e (cosa brutta a dirsi!) di tutta la categoria, nonostante persone molto più importanti di noi abbiano definito questo intervento pro asinis del Coa, come “parva materia”.

Sarà. Ma non è affatto da ritenersi parva materia visto che in gioco cominciano ad essere la libertà (del singolo rappresentante) di esprimere la propria opinione, nelle competenti sedi (il Consiglio, appunto) senza per ciò stesso dover soggiacere ad alcun limite, se non quello imposto dalla Legge.

E la legalità di una delibera di un consesso che si definisce democratico si misura – anche, se non soprattutto – dal dare voce anche a chi non la pensa come la maggioranza (ah!, quante storure ha legittimato il concetto di maggioranza), salvo poi dimostrare di essere (esso stesso Consiglio) contrario ad ogni forma di legge (e ciò per tanti motivi, in primis la presenza di ineleggibili conclamati, al suo interno).

Ma, tornando ai dubbi di cui sopra, sarebbe opportuno partire dal primo: è possibile che un Coa possa procedere a processi interni ” e provvedimenti impliciti di censura, pur in assenza di norme ad hoc?

La risposta sarebbe semplice: NO! Infatti il Coa non può, visto che l’art. 50, Legge Professionale, al c. 1, prevede espressamente che “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense“. Da qui discende la semplice considerazione che – vigente l’art. 50, L. P. – ogni potestà disciplinare (la c. d. giustizia domestica) appartiene ai CDD e non ai COA.

A fronte di una così semplice e disarmante risposta, si pone una considerazione: se esiste una Legge, il fatto di non considerarla diritto vigente, costituisce una manifestazione di ignoranza  o, piuttosto, una espressa volontà di non rispettarla in quanto – in nome della maggioranza e dei numeri – si può derogare alla stessa, magari calpestandola?

Più che altro, in casi come questi, si dovrebbe fare ricorso a testi di psicologia perché si possa comprendere (anche in maniera superficiale) cosa scatta nelle teste facilmente influenzabili di chi si sente Dio onnipotente, per derivazione elettorale (ah!, quanti danni ha fatto la maggioranza!).

Ma il secondo dubbio è sicuramente più interessante: che credibilità può avere una categoria i cui rappresentanti, essi per primi, non rispettano la Legge? Di casi, negli ultimi tempi, ne abbiamo riscontrati (il più eclatante è rappresentato dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma la quale, rigettando un appello proposto da ben 8 ineleggibili avverso un provvedimento del Tribunale di Roma – con cui veniva dichiarata la ineleggibilità dei predetti 8 -, ha confermato il loro status di illegittimità/illegalità – intesa come contrarietà alla Legge).

E dunque possiamo continuare a fregiarci del titolo di sentinelle della democrazia, se poi noi siamo i primi a non rispettare la Legge ed, anzi, a difendere lo stato di illegalità? E, agli occhi del mondo (cui aspiriamo ad aprirci), che credibilità possiamo ottenere?

E poi: in quanti si sentono legibus soluti? E poi, perché?

In quanti si pongono queste domande e questi dubbi, francamente non è dato sapere.

Ma se fossero in tanti a porsele, senza retropensieri e con la obiettività che solo un sano e serio esame di coscienza garantisce, forse (forse!) si riuscirebbe a farsi capire dai non addetti ai lavori.

P.S. Alla luce di queste domande, forse non tutti aspirano a non farsi capire!

            Nicola Zanni*

 *Direttore Editoriale di Futuro@Forense

 

Author: admin