La pandemia ha cambiato notevolmente le nostre abitudini di vita e tale cambiamento si è verificato anche nel processo civile dove, oggi, si discute se è preferibile la forma orale o quella scritta. Noi avvocati siamo più propensi all’oralità, a presenziare alle udienze guardando il giudice e la parte avversa negli occhi, partecipando in maniera attiva, sviscerando opinioni e soluzioni anche in base alle eccezioni ed obiezioni sollevate al momento dalla controparte.
Cicerone, grande avvocato e oratore, ha legato il suo successo proprio alla sua abilità argomentatoria (ars oratoria) e stilistica, che si sapeva adattare perfettamente all’oggetto dell’orazione e al pubblico, soprattutto alla sua tattica astuta, che si adattava di volta in volta al particolare uditorio al fine di convincere il pubblico contrario e raggiungere il proprio scopo. Cicerone fu un pioniere del λόγος (Logos), dell’arte oratoria perché fu il primo a intravedere nel discorso quel moto propulsivo, propedeutico alla formazione di una “pubblica opinione”.
A questo abbiamo dovuto rinunciare in epoca di pandemia anche perchè non è sempre il diritto a creare la prassi quotidiana ma avviene, a volte, semmai l’inverso e se ciò vale per il diritto sostanziale, lo stesso vale anche per il diritto processuale. Da cui consegue che particolari contingenze possano creare esigenze pratiche a cui supplire con nuovi metodi di svolgimento della prassi, tali da poter sfociare in provvedimenti che vantano – inizialmente – carattere di particolarità e/o eccezionalità, ma possono poi rivelarsi, una volta superata la fase emergenziale, come base di partenza che adegui la norma anche processuale alle mutate condizioni storiche e alle mutate esigenze. Compito, quindi, di questa breve riflessione è cercare di analizzare, dal lato eminentemente pratico, quale possa apparire la migliore strada per una riforma, anche perché, ad avviso di chi scrive, troppe vie alternative solo, apparentemente, arricchiscono ma, a volte, possono in realtà complicare la vita all’operatore del diritto. Si può partire dalla recente “vicenda normativa epidemiologica”, legata alle emergenze dettate dal Covid, ma è innegabile che anche in precedenza vi fosse una situazione emergenziale non legata a problematiche sanitarie ma alla eccessiva durata dei procedimenti civili. Non per niente i vari procedimenti di mediazione, negoziazione, Ctu preventive, sono stati concepiti proprio come istituti tesi al c.d. “deflazionamento del contenzioso”.
Per questo motivo, entro un anno dall’entrata in vigore della legge delega, il Governo dovrà adottare uno più decreti legislativi recanti il riassetto del processo civile. L’obiettivo perseguito consiste nel raggiungimento di una maggiore semplificazione, speditezza e razionalizzazione. La riforma si propone di snellire i requisiti di validità di forma degli atti telematici, fermo restando il canone fondamentale per cui l’atto deve in ogni caso risultare idoneo al raggiungimento dello scopo a cui è prefissato. È previsto, inoltre, il potenziamento del rito a distanza, con la previsione della possibilità – già collaudata – che le udienze, che non richiedano la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti, si svolgano in forma di trattazione scritta e/o a mezzo di collegamenti a distanza. In realtà non vi sono effettivi ostacoli alla adozione della “scrittura”, ma, nella maggior parte dei casi, occorre anche verificare la valenza della trattazione “da remoto”. È sicuramente opportuno non porsi pregiudizialmente in forma critica nei confronti delle innovazioni telematiche e informatiche in quanto sono ormai divenute pane quotidiano per gli operatori professionali. Vi sono però alcune problematiche che non possono essere sottaciute, poiché l’esperienza insegna che, specie quando più di una parte deve partecipare alla udienza, molto spesso qualche parte non riesce ad ottenere il collegamento per i motivi più diversi, a volte invece difetta l’audio o la visibilità.
È facile prevedere che la riforma risolverà alcuni problemi di contorno, lasciando immutate le questioni sostanziali che appesantiscono la giustizia civile. Occorre nuovamente ribadire il concetto, auto-evidente, che una vera riforma della giustizia non può che derivare dalla riforma delle risorse destinate dallo Stato alle strutture del sistema, con un riordino di mezzi e costi della PA, la riorganizzazione delle inefficienze giudiziarie e la previsione di una maggiore responsabilità di chi la giustizia la amministra in assenza di meccanismi virtuosi con il coinvolgimento attivo dell’intera avvocatura.
Maria Antonietta Labianca