La celebrazione del 25 novembre, ovvero della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, mi ricorda il famoso romanzo di Oscar Wilde dal titolo “il Ritratto di Dorian Gray” perché, mentre le manifestazioni e le iniziative si moltiplicano in tutta Italia facendo apparire giovani e attraenti le politiche contro la violenza alle donne e sulle donne, la realtà continua a sfigurarsi proprio come quel ritratto in soffitta.
E’ certamente vero che abbiamo una maggiore consapevolezza del problema ma, fino ad oggi, il governo ha fatto una legge che va modificata (quella sul codice rosso) e ha fatto tante promesse.
Rimangono infatti ancora materialmente da realizzare tutte quelle azioni concrete per formare le forze dell’ordine, i tribunali e i servizi sociali, per rendere omogenei i protocolli di intervento, per creare un lavoro di rete tra tutti i soggetti che intervengono in situazioni di violenza, bisogna ancora lavorare con gli adolescenti (specie quelli che vivono in quartieri degradati) per la prevenzione, bisogna lavorare su una cultura purtroppo e molto spesso ancora patriarcale ecc. ecc. ecc. e gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
E’ facile, semplice, comodo e sbrigativo pensare che dietro al drammatico fenomeno della violenza alle e sulle donne ci sia, di volta in volta, un solo uomo cioè solo quell’uomo che ha compiuto atti di violenza verso quella specifica donna.
Questo pensiero molto superficiale, appare ancora alquanto diffuso e permette alle persone che l’hanno fatto proprio, di avere la coscienza a posto, di sentirsi cioè al di fuori da ogni possibile coinvolgimento emotivo o di relazione col problema perché – lo stesso – non è sentito come proprio ovvero come un problema che investe invece tutti gli uomini e tutte le donne.
Permane peraltro il pregiudizio che, se una donna viene colpita o presa di mira o, nel peggiore dei casi uccisa, qualcosa avrà fatto! Un pensiero che nasconde l’ignoranza di chi considera una donna soggetta o per meglio dire assoggettata ad un uomo.
Questo articolo, pertanto, viene scritto affinché la Giornata internazionale contro la violenza alle donne e sulle donne non sia una sterile ricorrenza piena di retorica e di parole vuote e scontate.
La violenza di genere infatti ha bisogno di una presa di coscienza collettiva che diventi concreta azione civile e non piuttosto un mero passaggio di slogan televisivi, di interviste, di convegni, di relazioni, di passerelle o di comparsate qua e là in TV, ai TG, nelle scuole, ecc. ecc. ecc. e anche qui gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Insomma, una data fissata su un calendario vale se incide davvero sulle coscienze, se aiuta a modificare comportamenti, se recupera il valore della dignità della persona, a prescindere dal sesso, dalla razza, dalle opinioni politiche e dalla fede religiosa.
Se, invece – e questo è il punto che più dovrebbe inquietare – serve soltanto a metterci a posto l’anima, la coscienza, senza interrogarsi su quel che si è fatto di concreto e di sostanziale per prevenire e combattere il fenomeno e su quello che si potrebbe e dovrebbe fare a partire dal proprio contesto sociale e familiare, a partire dalle periferie (come i quartieri, le scuole di periferia e le parrocchie di periferia), ecco qui che, con il volgere del tempo, quella data perderà di senso e di significato e si trasformerà in un ritualismo senza costrutto (il ritratto in soffitta di Dorian).
Un rito inutile e, a lungo andare, persino fastidioso e controproducente, specie se poi, femminicidio dovesse, per malaugurata ipotesi (ma ci sono, purtroppo, già alcuni segnali in tal senso) fare rima con femminismo, allora ci sarebbe uno stravolgimento del problema.
Il femminismo (definizione presa dal vocabolario Treccani) infatti, è quel movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, è un insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una collocazione sociale paritaria in quella pubblica.
Nulla a che vedere, dunque, con il femminicidio che, molto spesso, avviene proprio in contesti sociali in cui la donna è emancipata, culturalmente formata e professionalmente affermata e in cui non cerca affatto una propria collocazione sociale o affermazione economica.
Il femminicidio, invece, comprende un’ampia gamma di atteggiamenti violenti e discriminatori diretti contro la donna in quanto donna e che rappresentano una violazione dei suoi diritti e delle sue libertà fondamentali.
Nulla a che fare dunque con il processo di emancipazione economica e sociale che, di fatto, seppure non ancora del tutto si è in parte raggiunto nella società per quanto ci sia ancora molto da fare anche su questo tema.
Ci si augura, quindi, che ogni giorno possa essere vissuto come se fosse il 25 novembre, affinchè dal 26 novembre in poi e fino al 25 novembre dell’anno successivo non cali il sipario su un fenomeno che riguarda ed investe tutti, uomini e donne che vivono nel presente oltre che le generazioni future.
Noi ci siamo!
Eugenia Acquafredda*
*Componente del Comitato per le Pari Opportunità Ordine degli Avvocati di Bari