Sempre più uomini rivendicano il fatto di non lasciare le proprie compagne sole nello svolgimento delle faccende domestiche. Questi uomini lo sottolineano anche con un certo orgoglio, mettendo le mani avanti durante qualsiasi discorso che riguardi le “lamentele” di una donna sovraccarica di impegni e responsabilità quotidiane.
Eppure è proprio il concetto di aiuto a rivelarsi sbagliato. Aiutare vuol dire prestare ad altri la propria opera in momenti di difficoltà e per cose che non ci competono perché quel compito spetta ad altri (o meglio ad altre ossia alle donne quando si parla di faccende domestiche).
In realtà piuttosto che di aiuto si dovrebbe pensare al un modo per dividersi equamente dei compiti.
Alle donne è infatti ancora affidata la maggior parte del carico del lavoro di cura domestica. E se hanno compagni che le “aiutano” (per gentilezza o sotto richiesta), prima di tutto non devono lamentarsi, per non parlare del fatto che, in certi consessi, subiscono a volte un rinfaccio o addirittura una critica per apparire magari “ingrate” per la fortuna che hanno avuto di trovare un uomo che le “aiuti”.
Anche se le donne sono entrate nel mondo del lavoro con gli stessi orari dei colleghi, il lavoro di cura della casa pesa ancora in modo quasi esclusivo tuttavia sulle donne.
L’obiettivo di un sistema in cui davvero vi siano le pari opportunità, oltre a quello del riconoscimento del diritto all’aborto, del divorzio e del riconoscimento della parità tra uomini e donne, dovrebbe essere quello di riconoscere come le donne siano state e siano ancora sempre confinate in quel ciclo di faccende domestiche non riconosciute però come lavoro vero e proprio, ma che viene dato per scontato e non viene soprattutto retribuito.
Quel lavoro cioè “improduttivo” e quasi “nascosto”, invisibile e che soprattutto non prevede giorni di riposo.
Con l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne, soprattutto a partire dagli anni Settanta, le donne hanno ottenuto quella che viene definita “la doppia giornata lavorativa della donna”: ovvero una donna, un salario ma con due lavori.
Nei contesti più benestanti poi questa situazione si è tradotta con la presenza di una terza figura all’interno del nucleo familiare – un collaboratore domestico – nella maggior parte dei casi un’altra donna che, percependo un salario, si prende cura della casa di qualcun altro, ma non è sempre così perché la donna continua a svolgere entrambe le funzioni!
Quando il partner aspetta che la propria compagna gli chieda di fare delle cose, significa che la vede come l’unica responsabile del lavoro domestico. Quindi tocca alla donna chiedere aiuto e dire cosa bisogna fare e quando bisogna farlo.
Bisogna invece liberarsi del preconcetto che per le donne il lavoro domestico sia una predisposizione naturale e innata. La realtà è che le donne subiscono un addomesticamento ovvero un lavaggio del cervello fin dalla prima infanzia attraverso i giochi e l’educazione.
Si è notato infatti che già nelle scuole dell’infanzia a volte siano le stesse maestre o comunque gli adulti in generale ad indirizzare le bambine e i bambini attraverso l’utilizzo di alcuni giochi piuttosto che di altri.
I giochi servono a costruire le capacità dell’adulto che il bambino diventerà. Emblematico è stato il caso di un bambino che è stato deriso dalle stesse maestre per aver espresso la preferenza di giocare con un bambolotto piuttosto che con macchinine e passatempi considerati più “maschili”.
Questo è evidente peraltro anche entrando in un negozio di giocattoli, dove spesso esiste ancora una netta separazione degli spazi: blu per i maschi e rosa per le femmine, con macchinine, camion e giochi di intelligenza per i primi e bambole, trucchi e piccoli elettrodomestici per le seconde.
Nelle stesse stanzette dei propri figli a volte abbondano il blu se è quella di un maschietto e il rosa se è quella delle femminucce. Queste scelte le compiono gli stessi genitori, i quali dunque, non possono certamente dirsi del tutto svincolati da stereotipi di genere.
I bambini vengono infatti educati a esplorare il mondo circostante, ad abbandonare le mura domestiche, mentre alle bambine si insegna a diventare “angeli del focolare” in miniatura.
Nulla di più sbagliato, poiché questi giochi, che non vengono scelti dai bambini, ma vengono imposti dagli adulti, contribuiscono a formare nella mente dei futuri adulti il pregiudizio che ci siano cose che per predisposizione naturale sono “da femmina” e altre sono “da maschio”.
Un aiuto saltuario nelle faccende domestiche non è una conquista, è il minimo sforzo che si possa fare.
Per far sì dunque che le cose cambino davvero e per raggiungere un’equa distribuzione dei compiti, è necessario farsi carico attivo e tutti i giorni della metà del lavoro quotidiano domestico, perché quella casa è anche dell’uomo e non solo della donna!
Solo così si potrà pensare di aver raggiunto davvero una parità reale nella coppia anche tra le mura domestiche, senza cioè dover più chiedere “aiuto” al proprio compagno ovvero ai propri figli (maschi) perché anche su questo – non chiedere ai maschi di collaborare in casa – che si costruiscono i muri del pregiudizio.
Noi ci siamo!
Eugenia Acquafredda