L’Italia è tra i primi Paesi ad avere un Ministero con un compito nominalmente specifico: la transizione digitale.
Chi ha cominciato la pratica forense con macchina per scrivere e carta carbone, si è dovuto aggiornare non solo professionalmente, con lo studio delle innumerevoli riforme sperimentali del diritto e con la sedimentazione di elaborati legislativi che rappresentano l’esatto contrario della trasparenza, ma anche acquisendo una pratica specialistica in informatica cimentandosi con l’evoluzione dei sistemi applicati.
Dalla macchina per scrivere meccanica, a quella elettronica, al computer; dalla carta uso bollo con ciceroni, ai diritti, al contributo unificato; dalle raccolte cartacee di giurisprudenza, alle banche dati della giurisprudenza, europea, nazionale, distrettuale.
Così come gli studi legali si sono dovuti adeguare alle nuove tecnologie, anche il sistema ministerial-giudiziario non è stato da meno. Anzi, lo Stato italiano, da questo punto di vista di passi ne ha fatti eccome, tant’è che oggi siamo all’avanguardia mondiale per quanto riguarda il cosiddetto processo telematico civile ma anche penale.
Quest’anno, su un bilancio statale di 1.107 miliardi euro, oltre 10 miliardi sono destinati alla Giustizia. 2 miliardi in più rispetto a quanto stanziato in precedenza, il cui 50% è destinato proprio alla digitalizzazione ed alla informatizzazione della Giustizia civile e penale.
Tutto bene, direte. Eppure di tutto questo “progresso”, come già accaduto in precedenza, alcun beneficio ricadrà sugli studi legali, che del sistema giustizia fanno parte integrante, e quindi sui fruitori del sistema giustizia.
Al di là dell’accresciuta responsabilità in capo al difensore che oggi è chiamato ad attendere a funzioni, come ad esempio quella dell’iscrizione a ruolo, un tempo affidate ai Cancellieri, non possiamo non ricordare che, ad esempio, il contributo unificato avrebbe dovuto eliminare ogni altra spesa di giustizia, eppure gli aumenti dei quali è stato fatto oggetto ed il permanere della famosa marca da € 27,00 per diritti di cancelleria, stanno a dimostrare il contrario. Per non parlare poi del sistema telematico di accesso ai fascicoli d’ufficio, anch’esso a pagamento, e che dunque grava ulteriormente sulle tasche di avvocati e quindi degli assistiti, come pure il costo della firma digitale.
Di tutti questi costi aggiuntivi per il fruitore finale, quello più odioso e senza senso è quello della conservazione dei documenti informatici che, seppur presenti nel fascicolo d’ufficio (del Ministero, per intenderci), se non conservati dal difensore a pagamento in una sorta di surgelatore informatico, dopo un po’ “scadono” come un qualsiasi prodotto alimentare.
Ovviamente, di tutto ciò, pochi si interessano se non i fruitori finali, ovvero coloro che cercano giustizia dallo Stato, ed i titolari di tutte queste belle invenzioni, a volte inutili, che però fanno fatturato.
Ormai lo Stato dalla logica aziendale, tende sempre più a scaricare a terzi la rogna “giustizia” che, all’apparenza, costituisce solo una voce di uscita. Dunque, il manovratore, da buon imprenditore, è chiamato a contrarre questi costi privatizzando la giustizia, digitalizzando tutto quanto possibile ed anche, perché no, scaricando l’attività “umana” sugli studi legali, ovviamente gratis quando non pure a pagamento.
Paolo Scagliarini