Ogni persona, nel proprio vivere quotidiano, combatte continuamente con le date di scadenza e non solo con quelle che sono collegate all’obbligo di pagamento di qualcosa, bensì anche quando si va a fare la spesa.
Ed infatti da qualche anno a questa parte siamo diventati tutti molto più attenti nel controllare le date di scadenza di un prodotto alimentare che acquistiamo e a verificarne la provenienza, le caratteristiche; abbiamo cioè imparato a leggere l’etichetta affissa sui prodotti.
La data di scadenza di un prodotto è la data entro la quale un alimento è igienicamente idoneo al consumo, sempre che sia mantenuto nelle corrette condizioni di conservazione.
Viene riportata obbligatoriamente sugli imballaggi alimentari dei prodotti preconfezionati e rapidamente deperibili con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” e deve riportare, nell’ordine, il giorno, il mese ed ovviamente l’anno.
Superata la data di scadenza, l’alimento può costituire un pericolo per la salute a causa della proliferazione batterica. Per legge, infatti, è vietata la vendita dei prodotti scaduti e, se ciò dovesse accadere, saremmo pronti a chiamare un responsabile di reparto per chiedere di rimuovere immediatamente quel prodotto dallo scaffale e lo inviteremmo ad avere maggiore attenzione nel controllare le date di scadenza dei prodotti in vendita senza ammettere giustificazione alcuna per quel comportamento.
Vi è poi tutta un’altra serie di scadenze che l’uomo medio che lavora è tenuto a ricordare e a rispettare, ovvero quelle relative ai numerosi pagamenti che durante l’anno vanno effettuati.
In questo caso, dunque, la data di scadenza è il termine ultimo entro il quale si deve effettuare il pagamento stesso, pena la previsione di sanzioni ed interessi per il ritardato o omesso pagamento; la data di scadenza, dunque, dovrebbe rappresentare una buona pratica per ricordarsi di pagare per tempo.
Tuttavia, per questo tipo di ritardo (quello nei pagamenti), la logica si inverte e così vi sono senz’altro delle valide ragioni che lo hanno determinato e, ancor prima di essere tali ragioni manifestate e poi considerate meritevoli di tutela, sono – per il fatto stesso che si tratti di ragioni addotte da una certa categoria, per il solo fatto che si tratti di motivazioni addotte in un determinato periodo di tempo e che riguardino un certo tipo di pagamenti – sono per ciò stesse delle ragioni giuste che determinano una ingiustizia delle sanzioni emesse per il ritardato pagamento e sono da condannare.
Si pretende, in buona sostanza, una giustificazione o comunque una certa comprensione e una certa tolleranza ove si tratti di pagamenti ritardati, quella stessa tolleranza che tuttavia non sembra venga messa in campo nel caso del titolare di un supermercato che magari non ha tolto dallo scaffale il prodotto scaduto. Anzi, in tal caso, è richiesto un certo rigore e vi è una tolleranza pari a zero perché – si dice – è in gioco la nostra salute.
Chi se ne frega se, ritardando i pagamenti degli oneri previdenziali, non si andrà in pensione, anche quello tuttavia riguarda il nostro futuro e la nostra salute (senza una pensione dignitosa forse è a rischio anche la nostra sopravvivenza) ma è sempre una questione di punti di vista!
Non si vuole in alcun modo minimizzare o ridicolizzare la situazione, certamente alla base vi sono delle ragioni, tuttavia alla base della scelta (a volte obbligata) di pagare in ritardo, dovrebbe esserci la consapevolezza che da quel ritardo scaturiranno delle conseguenze.
Solo così si sarebbero limitate e forse anche evitate le numerose parodie a cui si è assistito sui social in questi giorni. Non si entra, infatti, in polemica con chi – dei colleghi – ha ricevuto la famosa pec di Cassa Forense con cui si richiedono gli interessi (noi avvocati sappiamo bene cosa sono gli interessi di mora) per il ritardato pagamento di uno o più mav per uno o più anni.
Ognuno sarà libero di approcciarsi alla questione (sia che lo riguardi sia che non lo riguardi) come meglio crede, sempre tuttavia in un’ottica ispirata alla applicazione della legge e non piuttosto in un’ottica populista ispirata invece allo slogan “adesso mi porto qualche voto dalla mia parte dato che si è sempre in campagna elettorale”.
La campagna elettorale è l’insieme delle attività di propaganda politica svolta da uno o più soggetti (partiti, movimenti, liste, associazioni), volte a conquistare la fiducia degli elettori e convincerli a concedergli il proprio voto, tipicamente attraverso promesse elettorali.
Non c’è nulla di male in questo, certo. È il sale quotidiano di chi fa la politica anche quella forense. Tuttavia, farsi promotori di un impegno politico forense su di un tema come quello dell’obbligo dei pagamenti degli oneri previdenziali, basando la propria campagna elettorale sullo slogan secondo cui “è ingiusto che la cassa chieda pagamenti per degli importi corrisposti seppure in ritardo” o ancora “cassa forense è una ladra ed una matrigna che ci toglie il sangue” ecc. ecc. ecc., è certamente il modo più populistico e semplicistico per cavalcare l’onda e per fare politica senza considerare che, quella “matrigna” in fondo non ci chiede altro che il rispetto degli impegni (come facevano le nostre mamme e di cui conserviamo, tutti e tutte, gli insegnamenti) e se non li rispetti vi è una conseguenza (quelle che ci infliggeva la mamma per le nostre marachelle erano punizioni) e, dunque, domani, quando si andrà alla resa dei conti, davvero Cassa Forense apparirà come una matrigna, perché non potrà fare più nulla per noi dopo che per anni ha cercato di metterci in riga.
Noi ci siamo!
Eugenia Acquafredda