A Rimini, nel lontano Ottobre ’16, la maggioranza dei Delegati Congressuali decretò la fine dell’Organismo Unitario della Avvocatura (nato nel 1995 come Patto fra gentiluomini) e – fra gli applausi sperticati di chi, finalmente, voleva diventare il deus maximus del Congresso – dette vita all’Organismo Congressuale Forense. Nella mente di chi pensò questo organismo, un solo urlo si sentiva: il Congresso è la massima assise della Avvocatura ed “elegge l’organismo chiamato a dare attuazione ai suoi deliberati”. Ergo, l’OCF è il top.
Sin da quando ai Delegati Congressuali, in sede locale, fu esposto il progetto, non pochi storsero il naso, muovendo critiche verso un progetto che – ben lungi dal rappresentare la Avvocatura italiana, con le sue svariate sfaccettature – di fatto stava creando una pericolosa miscela esplosiva: fuori le voci critiche, dentro la Avvocatura istituzionale. A Rimini, non pochi – fra coloro i quali dovettero bere l’amaro calice dell’OCF, dovendo rinunziare ad OUA – si turarono il naso e applaudirono questa cosa amorfa. Gli altri, i contrari, i reietti, furono quasi derisi dai vincitori che avevano capito tutto della Avvocatura italiana. Nel silenzio generale, si confusero gli astenuti, coloro i quali Dante avrebbe sicuramente relegato nel girone infernale degli ignavi. Chi erano, questi, non è mai saputo. O, meglio, andiamo oltre …
Le falle che aveva quel progetto, erano tante e tutte puntualmente elencate: dipendenza economica dal CNF, componenti dell’organismo che potevano non essere Delegati Congressuali, potenziale (ed, in seguito, confermata) confusione tra Istituzioni (in primis, gli Ordini), con la conseguenza che – non essendo prevista alcuna incompatibilità tra componente dell’OCF e Consigliere dell’Ordine, ad esempio – in pratica era sempre possibile un controllo anche degli Ordini. Chi aveva evidenziato le possibili storture, veniva ritenuto un minus habens, un reietto, al più uno che non aveva capito nulla.
In 5 anni e mezzo di vita, questo organismo non è che abbia partorito nulla e la sua volontà di diventare l’organo politico della Avvocatura, si è limitato a scimmiottare il CNF, di fatto risultando una brutta copia dello stesso. Ed è tutto dire!
Addirittura, non potendo sovvenzionare un giornale, qualcuno – forse preda di immotivate manie di grandezza – voleva creare una scuola politica della Avvocatura, intenzione (forse) prodromica alla creazione di altri … sedili.
Oggi, invece, viene fuori la notizia che il Tesoriere dell’OCF rassegna le dimissioni dalla carica e dall’Ufficio di Coordinamento dell’OCF. Il motivo? Formalmente non si sa nulla e l’Ufficio di Coordinamento si è limitato (come è giusto che sia) a dare la notizia delle dimissioni. Ma le malelingue dicono che ci sia qualcosa di grosso in ballo… Fino a prova contraria, tutti siamo non colpevoli, certamente. Ma se il qualcosa di grosso fosse confermato, si dovrebbe fare mea culpa, da parte di chi – nell’Ottobre ’16 – si spellò le mani per la rivoluzione copernicana che dovrebbe ritirarsi in buon ordine chiedendo scusa a quanti avevano messo in guardia la Avvocatura italiana, da possibili sbandate adolescenziali, e a tutti gli Avvocati.
Per ora che sia chiaro: AVEVAMO RAGIONE!
Ed ora, zitti e a casa!
Nicola Zanni*
*Delegato al 33° Congresso Nazionale della Avvocatura – Rimini, 6 – 8 Ottobre ‘16