Senza partecipazione non è democrazia

Elezioni, elezioni e ancora elezioni. È tempo di elezioni e ci si affanna fino all’ultimo momento a ristabilire rapporti con colleghi e con conoscenti di colleghi per raccogliere l’ultimo voto utile al raggiungimento dell’obiettivo elezione.
A dire il vero pochi, e sempre meno, sono gli avvocati affascinati dal tema della politica forense. Lo abbiamo riscontrato, e lo riscontreremo ancora, dall’affluenza ai seggi. Quanti dei 6.800 avvocati andranno a votare?
La crisi che attraversa l’avvocatura oggi non è solo economica ma è anche una crisi istituzionale e di identità. L’avvocato, oggi, è asfissiato perché la sua natura e la sua collocazione nell’ambito di istituzioni che cambiano non è ancora ben definita. Da una parte è chiamato a fare i conti col «mercato» quasi fosse un imprenditore, dall’altro deve sottostare a regole e limiti tipici della funzione pubblica. La crisi  dell’avvocatura segue poi, di pari passo, la crisi della politica e dello Stato stesso, sempre più alle corde rispetto all’avanzare di un pericoloso automatismo economico, finanziario e digitale.

La società cambia, cambia in fretta come non mai. L’Avvocatura, così com’è, riesce a stare al passo dei tempi e con le ricorrenti riforme istituzionali?
Solo nello scorso anno ci sono stati 1.604 avvocati in meno, ed il 32,8% dei rimasti iscritti è tentato di lasciare la professione che ha visto crescere non solo i costi di esercizio a fronte di una contrazione degli introiti, ma anche l’accollarsi di attività di segreteria che prima dell’era della digitalizzazione gravavano su Cancellerie e Ufficiali Giudiziari.
In fin dei conti, il comparto statale della Giustizia è stato sollevato di compiti che sono stati ricaduti, anche con un impatto economico non indifferente, sugli avvocati e sui loro studi. Di questo sgravio/aggravio però non si è sentito granché parlare in giro, né gli avvocati, forse per un mal interpretato senso della dignità, hanno fatto sentire la loro voce, nulla avendo ricevuto in cambio.

Sta di fatto che, nonostante tutto, così come accade in politica, la partecipazione degli avvocati alle istituzioni di autogoverno, quali ad esempio il COA, è gravemente deficitaria. Basterebbe, come detto in principio, consultare i numeri degli esercenti il diritto di elettorato attivo/passivo.
Conseguentemente, una minore partecipazione alle istituzioni di autogoverno crea automaticamente delle oligarchie che una volta insediate, impediscono di fatto non solo un ricambio nella gestione ma costituiscono anche difficoltà a chi magari si vorrebbe interessare alla questione.

Ricordiamo a tutti che una democrazia o è partecipata o non è, ragion per cui uno degli obiettivi che i candidati dovrebbero porsi è proprio quello di raggiungere una maggiore partecipazione da parte di tutti gli iscritti all’Ordine.

Paolo Scagliarini

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