Sempre in attesa del famoso carro trainato dai ciuchi e ormai divorato dal dubbio che sia il carro che Pinocchio (che, da tempo immemore, mi ha promesso di venire con me al paese della cuccagna) non vengano più, mi sono appoggiato ad una staccionata nei pressi della fermata e mi sono scoperto a pensare a tante cose. Mentre rimuginavo sugli accadimenti del passato, mi sono reso conto che è trascorso un mese, ormai, da quando si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari e da quando c’è stata la proclamazione degli eletti. Fermandomi, in particolare, a pensare alla proclamazione degli eletti, mi sono ricordato tante circostanze.
Innanzi tutto, mi sono ricordato che la maggior parte degli eletti appartiene alla lista ritenuta (da chi con spocchia ha condotto tutta la campagna elettorale precedente le elezioni) nettamente inferiore e, quindi, degna solo di sorrisini di compatimento.
Mentre ripercorrevo con la memoria i momenti della campagna elettorale, mi sono ritrovato a pensare a quei candidati che ripetevano “noi pensiamo di portare 14 Consiglieri almeno e siamo sicuri di poter pure portare in Consiglio il quindicesimo”. L’esito – quale noi conosciamo – è stato diverso: i migliori, quelli sponsorizzati da colui il quale (forse in preda ad attacchi di megalomania patologica o forse perché è proprio così) riteneva di aver ricevuto ex Deo l’investitura di massimo rappresentante locale, nazionale, europeo, mondiale ed universale della Avvocatura, hanno portato in Consiglio 12 validissimi Consiglieri e Consigliere (persone degne di stima e sicuramente in grado di rappresentare gli Avvocati del Foro). E, mentre penso a questi numeri, mi sono detto che i sondaggisti dovrebbero cambiare metodo e, soprattutto, la palla di vetro perché questa, in evidenza, si è opacizzata (al limite, dovrebbero fare cambiare il cristallino della palla di vetro, tipo cataratta).
Come per incanto, per uno strano gioco di connessione cerebrale (che belle cose, le sinapsi!) mi sono ricordato che – ormai ebbri di una vittoria che era solo sulla (loro) carta – i migliori si erano già divisi i compiti: tu là, io qua, quell’altra lì, quell’altro ancora affianco a noi. E qui, sempre per incanto, mi sono ricordato il proverbio “Non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”.
Pensando a questo proverbio, mi sono scoperto a pensare che lo lessi, per la prima volta, sfogliando un Topolino (giornale che ha accompagnato la infanzia di parecchi di noi) in un episodio ambientato in un Far West immaginario; e mi colpì così tanto al punto che anche oggi, ogni qual volta mi capita di inebriarmi per vittorie che sono solo nella mia testa (e che quasi puntualmente si fermano solo là, perché vengono smentite nella realtà), me lo ricordo nitidamente.
“Non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso” perché, poi, non ti ritrovi la pelle dell’orso e ci rimani male, molto male.
Va bè, continuando a pensare, ho deciso: rimango qui alla fermata; così non rischio di perdere il carro trainato dai ciuchi. E ci resto solo.
Lancio un appello, a questo punto: se c’è qualcuno che vuole farmi compagnia, ben venga. E non siate timidi. Sarete in ottima compagnia. Provare per credere.
Lucignolo