In seguito all’incontro del 20 Settembre 2023 (dal titolo “La crisi dell’Avvocatura quale corpo intermedio”), alle relazioni del Prof. Roberto Voza e dell’Avv. Manuel Virgintino e al successivo dibattito, a questo punto si rende necessario continuare lo stesso dibattito, prendendo
come riferimento una parola che – nel corso dell’incontro – è stata proferita dal Prof. Voza e che, a giudizio di alcuni, rappresenta la plastica evoluzione della Professione negli ultimi 25 anni: ci riferiamo a proletarizzazione (il riferimento è ovviamente alla Professione Forense).
Il sostantivo proletarizzazione potrebbe rappresentare un neologismo sgradevole all’udito ed all’intelletto, perché indica la discesa verso gli inferi (nel nostro caso) di una intera categoria Professionale la quale, nei numeri relativi agli esercenti la Professione Forense, si è trovata a
passare (nell’Albo degli Avvocati di Bari, per rimanere dalle nostre parti) da 1200 – 1300 tra Avvocati e Dottori Procuratori del periodo 1992 – 1995, ai circa 6700 iscritti attuali. Tale numero che sembra in discesa, a causa delle cancellazioni degli ultimi tempi e delle scarne iscrizioni.
Data questa situazione – che, ovviamente, ha vari risvolti negativi su tanti aspetti (in primis, sulle prestazioni previdenziali ed assistenziali di Cassa Forense, ma anche per la gestione pratica degli Ordini territoriali i quali, enti pubblici non economici, hanno costi di gestione non indifferenti, tra dipendenti ed altro) – la discussione circa la crisi che attanaglia la Professione (a quanto sembra) da sempre, dovrebbe riguardare più aspetti, ben sapendo che l’impresa di reductio ad unum della problematica, è opera titanica (e, forse, anche impossibile).
Il termine proletarizzazione definisce la massificazione della più importante Professione liberale che, sicuramente, esiste da sempre nel panorama politico, lavorativo e giuridico. E, sotto un certo punto di vista, esprime una visione elitaria (e in evidenza oggi fuori dal mondo) della Professione stessa: la Avvocatura (un tempo) intesa come élite (in quanto espressione di un ristretto numero di persone dotate di cospicui patrimoni personali e, dunque, altoborghesi), dopo l’entrata in massa di tanti Colleghi, ha dismesso i panni della Professione di eccellenza e si è dovuta adeguare al mercato, con la conseguenza che tutti i nuovi si dovevano (e si devono) ritagliare uno spazio
lavorativo. E questa situazione ce la stiamo portando dietro da anni.
Attualmente, uno dei problemi maggiori che affligge la categoria, è la carenza di spazi lavorativi per gli iscritti agli Albi territoriali. Per questa situazione si dovrebbe ripercorrere la Storia degli ultimi 25 anni e verificare come ci sia stata una sorta di faciloneria nel permettere che un numero imprecisato di persone passasse l’esame di abilitazione – talvolta non si sa se meritatamente – e ingolfasse gli Albi stessi, salvo poi (a distanza di tanti anni) trovare nuovi sbocchi professionali, con la perdita della anzianità di servizio e dei contributi previdenziali versati. Sicuramente l’aver permesso a tanti di iscriversi all’Albo e, contestualmente, il non aver previsto – a monte – un sistema che impedisse lo stato di difficoltà in cui molti (inevitabilmente e per svariati motivi) sarebbero caduti, ha contribuito alla proletarizzazione di cui sopra.
Dunque, c’è stata una carenza di filtro, sia a livello universitario che a livello pre – iscrizione all’Albo. Ma ormai il dado è tratto e oggi si deve (deve!) affrontare la situazione di una Professione che pretende di rimanere libera (ma che, di fatto, soggiace alle regole del mercato, con tutto ciò che ne consegue) e per cui, in nome della autonomia rispetto al mercato stesso, si stanno scimmiottando le regole del mercato. Come fare? Qualcuno ha parlato di restituire credibilità alla categoria, anche rimpolpando (per così dire) di contenuti e di forza contrattuale rispetto alle Istituzioni politiche di questa Nazione, le Istituzioni forensi ed applicando le leggi che sono alla base della nostra Professione e che la disciplinano (Legge Professionale, Codice Deontologico, Regolamenti CNF nelle più disparate materie, ecc.) (Avv. Virgintino).
Qualcun altro, invece, pur non affrontando il discorso della rappresentanza Istituzionale della Avvocatura (e della sua rappresentatività), parla di necessità che gli Avvocati presenti nel Parlamento (sembra che il loro numero sia pari al 60% circa dei 945 Parlamentari eletti nelle varie coalizioni e nei vari partiti) debbano rispondere (prima che alle logiche dei rispettivi partiti di appartenenza) alla propria provenienza professionale: in pratica dovrebbero fare lobby. A giudizio di costoro, infatti, il problema non risiederebbe nella mancanza di rappresentanza e di rappresentatività (delle Istituzioni) degli Avvocati, quanto – piuttosto – nel fatto che i Parlamentari – Avvocati non metterebbero a disposizione dei Colleghi rimasti fuori, le armi a loro disposizione. In pratica, questi sarebbero succubi degli ordini di scuderia e non farebbero nulla per le esigenze dei Colleghi (che, ad onor del vero, sono oltre 240.000 in Italia, con tutte le conseguenze del caso).
E’ evidente, quindi, che l’argomento crisi della Avvocatura è molto più grande e complesso di quanto si possa credere; e bisogna avere – una volta per tutte – il coraggio di dire cosa non va e fare in modo che si pongano in essere delle correzioni radicali della situazione, partendo dal
presupposto ineluttabile per cui la Professione Forense è una Professione solitaria e che, oggi, ci sono ben 240.000 soli. In primis, ponendo mano alla Legge Professionale (la Legge 247/12) che, al 31° Congresso Nazionale della Avvocatura di Bari del Novembre 2012, aveva sollevato grandi dubbi e sospetti circa il fatto che non avrebbe funzionato e che avrebbe causato indiscriminatamente più danni che altro (uno su tutti l’art. 21 che introduce l’iscrizione obbligatoria alla Cassa Nazionale di Previdenza, mentre i regolamenti di questa – ad esempio, quello sui contributi – contengono norme vessatorie e fuori da ogni logica).
Si faccia avanti chi ha la voglia di confrontarsi, ben sapendo che la situazione è critica e che più della metà degli iscritti agli Albi territoriali (secondo il Rapporto Censis sulla Avvocatura 2022, pubblicato ad Aprile 2023) soffre di una crisi forte e di cui non si riesce a vedere la crisi. Di certo la soluzione non è quella di far saltare la cassaforte con l’esplosivo (perché si farebbe saltare anche il contenuto della cassaforte), ma è quella di trovare la combinazione per aprirla (cercando di fare meno danni possibile ad una categoria Professionale già provata dalla crisi).
Nicola Zanni