Quattro anni fa, di oggi, si sentiva parlare (con una certa frequenza e con sempre maggiore apprensione) di una nuova malattia (il coronavirus) che, proveniente dalla Cina, stava per sconvolgere l’economia e la quotidianità delle persone. In particolare, in Italia, il governo Conte 2, già dal 31 gennaio 2020, aveva decretato lo stato di emergenza, culminato (l’8 marzo successivo) in quello che verrà ricordato come la fine della civiltà: il lockdown.
Persone chiuse in casa e fine di ogni attività: la morte civile insomma.
Anche per la Avvocatura e per gli Avvocati si prospettavano tempi durissimi; e non sarebbe bastato il trincerarsi dietro il famigerato “Codice Ateco 69” che consentiva gli spostamenti verso gli studi dalle proprie case. Ogni attività giudiziaria era stata bloccata e, di fatto, anche la professione era stata paralizzata da questo virus.
I protocolli sottoscritti si sprecavano, in attesa del vaccino che avrebbe risolto i problemi, secondo i più. Mentre ogni giorno la conta degli infettati e dei decessi era un triste rito. Come d’altronde l’appuntamento delle 18,00 con gli “esperti” e l’appuntamento del sabato sera con il presidente del consiglio che annunciava, con “mestizia”, un ulteriore passo verso l’annichilimento della vita quotidiana.
In questo quadro desolante, è stata “partorita” la riforma Cartabia, soprattutto nella parte in cui (e ci riferiamo al processo civile) si lascia ampio spazio alle c.d. trattazioni scritte, superando le udienze in presenza, con tutti i risvolti che questo tipo di udienza potevano avere.
È stato un bene? È stato un male? Finita la fase dell’emergenza, revocato lo stato di pandemia, quasi declassato, il Covid, a “influenza” (quest’anno l’influenza è stata veramente devastante), ha ancora senso parlare di necessità della “trattazione scritta”, che per alcuni rappresenta un limite alla Giurisdizione?
Ognuno può trarre le sue conclusioni e tutte sono valide sicuramente.
Di certo il Covid ha rappresentato un superamento di “ciò che era prima”. E oggi, a distanza di quattro anni, a maggior ragione, deve costituire un valido punto di partenza di discussione (senza preconcetti), anche per la Avvocatura. La quale non può e non deve trincerarsi dietro la necessità di tornare allo status quo ante.
Nicola Zanni*
Direttore editoriale di Futuro@Forense
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