Era il Febbraio 1992 quando – con in mano una tangente di qualche milione di lire – fu arrestato in flagranza di reato, il Presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, Mario Chiesa, socialista di ferro e uomo di fiducia di Pilitteri (allora Sindaco della capitale economica d’Italia). Tale arresto, nell’ambito della inchiesta “Mani Pulite” (portata avanti dal pool di magistrati della locale Procura della Repubblica presso il Tribunale, guidata dal Dott. Francesco Borrelli e di cui facevano parte i Dott.ri Di Pietro, Colombo, Davigo e Greco), dette avvio ad una nuova stagione della politica italiana visto che si iniziò ad indagare sul (marcio) sistema economico, basato anche (se non soprattutto) sulle tangenti versate ai politici. Da quell’arresto discesero vari arresti (centinaia fra rei confessi ed innocenti, alcuni dei quali non ressero l’infamia del proprio nome sui giornali e si suicidarono – emblematico il caso del tesoriere del PSI, Moroni) e, nel corso degli anni, le carriere politiche di alcuni protagonisti di quella inchiesta (Di Pietro e D’Amborsio, in primis) si svilupparono.
Al di là delle considerazioni sugli sviluppi della menzionata inchiesta, da quel momento in poi, si è assistito ad una prassi impensabile fino ad allora: la Magistratura entrava – perché tirata in ballo da denunzie ed esposti – nel gioco politico, mantenendo intatto ai giorni nostri questa caratteristica. Ormai, con la scusa di contestare scelte politiche non ritenute condivisibili, v’è la consuetudine (giusta o sbagliata che sia, è questione lasciata alla sensibilità di ciascuno) di delegare alla Magistratura la verifica della legittimità e/o della legalità (se non proprio della opportunità) di scelte politiche, dimenticandosi (o facendo finta di dimenticarsi) che – forse – certe scelte si rendono necessarie per il benessere collettivo. Poiché la Giustizia civile e quella amministrativa hanno un costo d’accesso (più elevato nel secondo caso), si preferisce adire quella penale, forse perché il titolo in prima pagina può (o, meglio, potrebbe) un effetto avere un effetto dissuasivo, nel proseguire in certe azioni politiche e nel perseguire determinati fini.
In gergo si chiamano querele preventive ed il loro evidente fine dovrebbe essere quello di spaventare chicchessia. Fa nulla che poi le azioni civili, amministrative e penali rischiano di finire nel nulla: in fondo, l’importante è cercare di bloccare certe scelte in nome di non si sa cosa.
Ormai si assiste alla consuetudine della politica (ad ogni livello) delegata alla Magistratura; che forse non vuole avere questa altra rottura di scatole, visto che i problemi che attanagliano questa strana Nazione sono tantissimi e tutti abbisognevoli di tutela giuridica. O che forse, in alcuni casi vuole (rectius, vorrebbe) occuparsi di politica e che ne ha la possibilità, grazie a politici che non hanno avuto l’opportunità di guidare le scelte politiche operate da chi ha il compito di amministrare la res publica.
Forse quando qualche manina (mossa dai più disparati motivi che, alla prova dei fatti, dimostrano la propria inconsistenza) mette mani a esposti o atti giudiziari (ingolfando la macchina Giudiziaria), dovrebbe pensare al danno che sta facendo alla collettività. Ma evidentemente lo sa e vuole proprio creare danni …
Nicola Zanni*
*Direttore editoriale di Futuro@Forense