La pandemia da Covid 19 e il lockdown hanno impresso un’importante accelerazione all’informatizzazione e un’estensione delle videoconferenze anche nel processo penale. Durante l’emergenza, queste ultime sono state adottate come tecniche di acquisizione degli atti di indagine, forme di celebrazione delle udienze non dedicate all’assunzione della prova, sistemi per assicurare la partecipazione al processo degli imputati detenuti limitandone gli spostamenti sul territorio. La trasmissione telematica di istanze e memorie difensive e la possibilità per i difensori di accedere da remoto agli atti dell’indagine si configurano come strumenti per conciliare la continuità dell’attività giudiziaria con l’esigenza di ridurre l’afflusso degli utenti nelle cancellerie degli uffici.
Il nostro sistema sta raccogliendo la sfida di fare in modo che le limitazioni imposte dal contesto sanitario non comportino compressione delle garanzie del giusto processo e dei valori dell’oralità e del contraddittorio consacrati dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Purtroppo però, come è noto, in questi giorni, sono stati pubblicati i decreti legge n. 137/2020 e n. 149/2020 in cui sono state previste anche delle misure inerenti il settore della giustizia e, tra queste, quella penale e con essi si avvia un vero e proprio stravolgimento dei principi cardine del processo, nonché la frantumazione dei diritti fondamentali e delle garanzie processuali fino al 31 gennaio 2021.
Le norme che riguardano il codice di procedura penale sono contenute negli artt. 23 e 24 del D.L. n. 149/20 che intervengono sulla trattazione dei procedimenti penali e sulla sospensione dei termini (di prescrizione, custodia cautelare e giudizi disciplinari). La riforma procederà così con :
1) l’allargamento dell’applicazione degli artt. 146 bis e 147 cpp, al di là dei limiti attualmente previsti e cioè l’utilizzo del dibattimento a distanza;
- La cartolarizzazione, con la possibilità della eccezione da parte delle richieste della partecipazione all’udienza partecipata.
- L’informatizzazione del processo, le modalità telematiche dell’informazione, di comunicazione, di notificazione.
Questo è lo scenario attuale e noi avvocati dobbiamo affrontarlo, trovandoci tutti sulla stessa barca contro la pandemia. L’obiettivo è comune, anche nei palazzi di giustizia: ridurre quanto più possibile, senza paralizzare la giurisdizione, il numero di presenze negli uffici e nelle aule, a difesa del diritto alla salute dei giudici, dei pubblici ministeri, del personale dipendente, degli avvocati, dei cittadini costretti ad accedervi. I penalisti hanno da subito sottoscritto protocolli con Presidenti di Tribunali e Corti di Appello, firmato intese con le Procure della Repubblica, cercato ed in buona parte trovato intese con il Ministro di Giustizia sulle misure urgenti da adottare. Si è suggerita la possibilità di prestare il consenso, ove non pregiudizievole per gli assistiti, alla celebrazione cartolare di udienze camerali nei vari gradi di giudizio.
Tuttavia, sono stati individuati due limiti invalicabili se si vuole salvaguardare, anche nella emergenza, la essenza stessa del processo e dei diritti che esso deve rispettare senza eccezioni. Quei due limiti sono: la incompatibilità del dibattimento penale e, precisamente, delle udienze di acquisizione della prova e di discussione, con la celebrazione da remoto del processo; la inderogabilità della presenza fisica dei giudici nelle Camere di Consiglio conclusive di procedimenti che prevedano normativamente una discussione delle parti. È inconcepibile che un giudizio collegiale, dunque, una discussione tra giudici che devono pronunciare sentenze almeno a maggioranza, possa avvenire lontano dagli atti sui quali la decisione deve prendere forma, non avendone il controllo materiale. E nulla cambia, come è ovvio, se il difensore abbia scelto di rinunziare alla propria discussione finale.
Si è vinta una grande battaglia sul primo limite, grazie anche al sostegno di molte importanti Procure italiane, ma sul secondo il nuovo decreto- legge “Ristori bis”, introducendo il processo di appello cartolare (come d’altronde quello di Cassazione), sta creando serie difficoltà. È ben vero che esso può avvenire solo se il difensore non manifesti il dissenso; ma il fatto nuovo è che, se il difensore vi consente, la Camera di Consiglio può ora celebrarsi su piattaforma informatica e ciò con buona pace della segretezza e soprattutto della collegialità della Camera di Consiglio. Praticamente si sta ufficializzando la monocratizzazione del giudice collegiale. E tutto ciò a discapito di ciò che per noi Avvocati costituisce la inviolabile sacralità della Camera di Consiglio. Qui la questione sanitaria è un penoso pretesto per guadagnare un piccolo privilegio corporativo. Dobbiamo svuotare le aule, certamente, ma non del Giudice! In questa eccezionale contingenza, tutte le presenze consensualmente derogabili posso restare fuori dalle aule dei Tribunali, così come il pubblico, ma non il Giudice poiché tenere tale figura fuori dall’aula rappresenta un’idea irresponsabile ed infelice, altrimenti saremo costretti ad occupare le nostre Corti di Appello, ancora una volta, in difesa della dignità e della sacralità della giurisdizione e ancora una volta, anche in tempi di Covid, con la toga sulle spalle e nel cuore.
Avv. Maria Antonietta Labianca