Specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?
L’espressione è sin troppo nota ed è quella ossessivamente pronunciata dalla matrigna ricordata dai fratelli Grimm nella celeberrima fiaba di Biancaneve.
La legenda dello specchio magico parrebbe porre le sue radici nella storia della giovane Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal figlia di un importante diplomatico tedesco, rimasta orfana di madre e del suo giocattolo preferito uno “specchio parlante” un giocattolo acustico capace di riprodurre le frasi pronunciate da chi si specchiava molto in voga tra la migliore aristocrazia del 1700.
Ma oggi non è della storia della sventurata Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal e della sua cattiva matrigna Claudia Elisabeth von Reichenstein che vi voglio parlare ma dello specchio magico.
Il giocattolo si è evoluto ed ha perso gran parte della fantasia e della purezza che un tempo aveva.
Lo “specchio magico” per antonomasia è oggi rappresentato dal social network per eccellenza “Facebook” all’interno del quale, in maniera compulsiva ed ossessiva orde di uomini e di donne ostentano la propria immagine nella perenne ricerca di una flebile considerazione ed un vacuo apprezzamento.
Non più confronto intimo e riservato all’interno di una stanza buia ma esibizione della propria immagine ad perpetuam rei memoriam.
Non più immagine transeunte espressione della caducità del tempo e dell’attimo ma fissata nel tempo e nella storia sottratta al controllo ed al naturale oblio e destinata a fluttuare in uno spazio tempo privo di confini.
Oggi l’atto di specchiarsi prende il nome di “selfie” espressione anglofona del più greve vocabolo “autoscatto” evocativo di ben altre produzioni editoriali di antica memoria (ma questa è altra storia).
Selfie o autoscatto che dir si voglia, e qui con buona pace dei plurimi comitati pari opportunità, uomini e donne dalle più variegate identità sessuale riempiono le infinite pagine del web con la propria effigie.
Non necessariamente immagini licenziose e pruriginose, ma volgare esaltazione di infiniti quanto inutili “Narciso” perdutamente innamorati della propria immagine riflessa in quello “specchio magico” impalpabile che è il web ancora inconsapevoli di un amore impossibile che li condurrà verso il definitivo ed irreversibile struggimento.
L’autore dell’autoscatto risponde ad un irrefrenabile pulsione erotica ove egli stesso è l’oggetto del desiderio e qui soccorre il pensiero di Sigmund Freud compiutamente trasfuso nel saggio “introduzione al narcisismo” scritto tra il 1913 e 1914.
Per quanto d’interesse integralmente applicato alla dinamica dei selfie Freud definisce il narcisismo come “il completamento libidico dell’egoismo della pulsione di autoconservazione dell’uomo dove l’Io del malato (di selfie n.d.r.) sembra essere di fatto il centro della corrente libidica dove il paziente perde ogni interesse verso l’esterno rivolgendo a sé stesso la propria corrente libidica oggettuale, dando così forma a sovrainvestimenti dell’Io che sfociano ad esempio nelle manie di grandezza” ( capitolo primo, Zur Einführung des Narzißmus).
In verità, se andassimo a rivedere in psichiatria la definizione di “disturbo narcisistico di personalità” osserveremmo che questo è caratterizzato da un modello pervasivo di grandiosità, necessità di adulazione, e mancanza di empatia, tratti questi facilmente riconoscibili negli autori seriali di autoscatto (perdonate ma l’espressione anglofona non mi piace)
A ben vedere, il ricorso continuo e costante alla ostensione della propria immagine è significativo di un serio disturbo della personalità dove l’autore (con disturbo narcisistico di personalità) sovrastima le sue capacità ed esagera i suoi successi.
Il malato di selfie pensa di essere unico, superiore o, semplicemente speciale. Alla sovrastima del proprio valore sovente corrisponde la sottostima del valore degli altri.
La principale preoccupazione in tali soggetti è l’elaborazione di fantasie di grandi successi, di essere ammirati per la straordinaria intelligenza o la travolgente bellezza e di avere infinito prestigio.
Essi sono una razza speciale ed in quanto tale esprimono la necessità di socializzare tra simili rifuggendo dalla “gente comune” ed è proprio nel branco che l’autostima si alimenta e cresce.
Il malato di selfie non solo ostenta la propria immagine ma trascorre gran parte del tempo ad osservare quello che gli altri pensano di sé contando i “like” ed i commenti positivi, salvo poi a sentirsi infastidito ed umiliato dalle critiche rispondendo con rabbia e disprezzo o, alternativamente, a defilarsi nel tentativo di proteggere il suo senso di auto importanza.
E’ uno stato patologico riconoscibile e diagnosticabile attraverso l’esame di chiari criteri clinici puntualmente descritti nella quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders [DSM-5] che può e deve essere curato.
Ora se qualcuno di Voi si è riconosciuto nella descrizione sin qui fatta, dopo le comprensibili contumelie, assuma consapevolezza del proprio stato di malattia ed in maniera coraggiosa inizi un percorso di rinascita diretto a conseguire una piena e consapevole percezione della propria persona dove al culto della propria immagine si sostituisce una migliore padronanza del proprio essere.
E comunque ricordate quello che disse Woody Allen
“Non sono narcisista né egoista; se fossi vissuto nell’antica Grecia non sarei stato Narciso. – E chi saresti stato? Giove.”
Fidatevi,
Io sono
il Grillo