I limiti del sistema democratico parlamentare italiano stanno emergendo con sempre maggiore evidenza e gravità. I rappresentanti del corpo elettorale, gli “eletti” del suffragio universale si sentono minacciati da coloro che chiamano impropriamente tecnici.
Sta di fatto che il corpo elettorale, sempre più lontano dai meccanismi di gestione di quel che è rimasto della res publica e dalle dinamiche politiche internazionali, continua a scegliere i propri rappresentanti per motivi i più vari e non sempre, quasi mai, per la visione e la capacità dei candidati di progettare il futuro dello Stato.
Per converso, gli eletti, sempre più orfani dei partiti quali fucine di politica, nella maggior parte dei casi, rifuggono dal prospettare un disegno di Stato per inseguire il consenso popolare e non invece per guidarlo. È così più facile che il Parlamento si riempia di simpaticoni mentre i cervelloni restino a casa.
Nel contempo sfugge ai più che la società sia in continuo vorticoso divenire, e che la politica demandata agli eletti, ai parlamenti nazionali, sia ormai residuale rispetto a quella riservata ad altre strutture e compagini di controllo, comando e direzione dei popoli.
Piaccia o no, la politica non è più esclusiva dei parlamentari, impegnati come sono nella scalata dei sondaggi anziché nell’acquisizione, per conto dei rappresentati, di potere. La politica, quella reale, oggi si fa anche e soprattutto in assisi sempre più lontane dai parlamenti e dalle rappresentanze popolari.
Lo Stato odierno, non è lo Stato dei padri della Patria e neppure dei padri costituenti. Non lo è più, semplicemente perché il consesso mondiale è totalmente differente rispetto ai tempi andati, e il continuo ricorrere dei partiti e dei movimenti a rimembranze nostalgiche di lotte storiche del passato, non fanno altro che distrarre l’opinione pubblica dai reali ostacoli ad una sua vera partecipazione.
Oggi, lo Stato come una qualunque azienda o famiglia, deve produrre e se non produce con profitto, per mantenere i propri figli si deve indebitare con soggetti terzi sovranazionali, questi sì detentori non solo di potere ma anche di una visione politica diretta non solo a porzioni di territorio ma a interi continenti.
Sarebbe bene, a questo punto, che in Italia non si parli più di governo tecnico ogni qualvolta un non eletto riceva dal Capo dello Stato l’incarico di formare un Governo. Piuttosto, si prenda atto che che il Governo lo possa formare un soggetto extraparlamentare, e che gli eletti vadano a rimorchio dandogli la fiducia. Del resto tutto ciò è perfettamente costituzionale. Che il Governo sia presieduto da un “extraparlamentare” non toglie affatto che sia un politico, e quello in carica, più di ogni altro, lo è sapendo bene come funziona il complesso ed articolato sistema nel quale lo Stato italiano, volente o nolente, è stato inserito marginalmente rispetto al tutto. Anche questo Governo procederà quindi, nel perseguire il proprio disegno politico, col sostegno di un Parlamento di eletti che, di volta in volta approverà provvedimenti politici eterodiretti, con maggioranze differenti. Resta in ogni caso da chiedersi dove sia nascosta, in questi tortuosi percorsi, la sovranità di cui all’art. 1 della Costituzione e in quale luogo e da chi vengano generate le linee politiche che poi approdano nelle due Camere parlamentari.
Se questa Nazione è ancora in grado di generare costituzionalisti, lo faccia subito, innanzitutto per studiare il mondo reale che ci circonda e poi per tracciare nuove vie, per una reale diffusa partecipazione, cosciente e competente, alla gestione della res publica ed alla sua direzione, che siano scevre da quella retorica e da quella demagogia che ne impediscono la realizzazione. Sempre che non si voglia, ancora una volta, abdicare.
Paolo Scagliarini