Dopo un anno di emergenza, anche i lavoratori italiani in smart working iniziano a tirare le somme di una nuovo modo di lavorare e i dati del sentimento legato al lavoro da remoto non sempre sono confortanti. Tra chi si sente costantemente sotto stress a chi percepisce di essere solo e con grosse difficoltà nel reperire contatti, la mappatura delle differenti situazioni psicologiche e sociologiche del campione fornito nel nostro Paese riporta una condizione di criticità da non sottovalutare e che rischia di compromettere non solo la produttività delle aziende, comprese quelle di servizi, ma anche la solidità di un’economia già duramente colpita dagli effetti strutturali derivanti dall’avvento del Covid-19.
La conciliazione tra lavoro e famiglia era un tema già caldo negli ultimi anni, ma da quando siamo caduti in questo Covid/incubo la questione è diventata pressante più che mai. E’ inutile nasconderci dietro un dito, siamo tutti sotto pressione: aziende, sistema sanitario, sistema giudiziario, sistema scolastico e soprattutto le famiglie, ovviamente. Cerchiamo di barcamenarci tra DPCM, circolari INPS, regioni a colori, vaccini sì e vaccini no, ma abbiamo solo risposte degne della Pizia, così vaghe e interpretabili da lasciarci tutti in una situazione di perenne incertezza. E così si creano chat dei genitori, chat degli avvocati, chat dei dirigenti scolastici, chat degli insegnanti e si sta su Teams o su zoom invece che su Whatsapp. Il pessimismo è bandito: assieme ai tuoi colleghi studi le strategie migliori per ottimizzare tempi e luoghi di lavoro: webinar, processi da remoto, conference call, smart-working e chi più ne ha più ne metta. Crei piani settimanali che i campioni di Tetris a confronto sono dei principianti e speri che prima o poi si riuscirà ad uscire dalla caverna. Pensi ad una policy sensata che concili numero di postazioni disponibili, necessità dei vari team, legittime esigenze di socializzazione – ma non troppo – e soglie di tolleranza per chi, aggravato dalla gestione dei figli, proprio avrà difficoltà a tornare in presenza. Le mamme partecipano alle riunioni di inizio anno scolastico e sanno che sarà dura, molto dura. Le scuole fanno quello che possono, i bambini sono comunque fortunati a tornare ad una parvenza di normalità ma i genitori sono decisamente sotto pressione, nonostante uno stuolo di zii virtuali acquisiti, involontario pubblico della nostra disordinata quanto ordinaria dimensione domestica. L’impatto dello smart working sul benessere dei lavoratori in Italia sta avendo anche conseguenze notevoli sia sulla sfera emotiva, sia sulla salute fisica; infatti, bilanciare i due aspetti – professionale e personale – non significa obbligatoriamente suddividere in ugual misura le ore da dedicare all’una e all’altra attività, anche perché si tratterebbe di un obiettivo poco realistico e piuttosto inefficiente. Ogni persona, a seconda dell’età, delle esigenze e della situazione familiare, avrà un equilibrio che reputa corretto. Qualcuno la chiama già “smart working fatigue”, per indicare le conseguenze che il lavoro da casa forzato dovuto alla pandemia ha prodotto sulle vite dei lavoratori. E in particolare sul work-life balance, ovvero il rapporto tra vita lavorativa e vita privata. E gli esiti non sono affatto positivi: le esperienze più diffuse vanno dall’ansia alla percezione di una riduzione della qualità della vita, dalla riduzione del tempo libero all’aumento incontrollato delle ore di lavoro.
Il lavoro da remoto, nell’anno orribile della pandemia, ci ha messo di fronte al bisogno di imparare a conciliare meglio lavoro e vita personale, per cui il work – life balance, un buon equilibrio tra vita privata e vita lavorativa è ritenuto vitale. Se da una parte il ricorso al lavoro agile ha portato indubbi vantaggi (logistici ed economici), dall’altro non sono mancati gli effetti collaterali. Su tutti, appunto, il mancato rispetto del diritto alla disconnessione, con le tecnologie che in molti casi hanno reso impossibile operare una distinzione tra lavoro e sfera privata ed il passaggio a una nuova fase di ampia diffusione di questa modalità di lavoro che richiede ora un nuovo intervento che faccia chiarezza su alcuni temi, a partire proprio dall’equilibrio da trovare tra vita privata e vita lavorativa e un nuovo diritto alla disconnessione.
L’Harvard Business Review, già nel 2018, invitava a porre attenzione al rischio di burnout tra i lavoratori in smart working, ricordando come questa modalità di lavoro richieda sforzi sia ai lavoratori – che devono imparare a coniugare senza sovrapposizioni diversi ambiti della propria vita – sia ai loro capi. L’efficienza dei lavoratori, infatti, migliora con livelli contenuti di smart working, ma diminuisce con uno “smart working eccessivo”.
Secondo quanto riporta PwC Italia nel suo ultimo paper dedicato allo smart working, il passaggio a una nuova fase di ampia diffusione di questa modalità di lavoro richiede ora un nuovo intervento che faccia chiarezza su alcuni temi, a partire proprio dall’equilibrio da trovare tra vita privata e vita lavorativa e un nuovo diritto alla disconnessione.
A prescindere da tutto, l’augurio che tutti ci facciamo è che questo periodo resti soltanto un brutto, amaro ricordo, che si spera, ci abbia insegnato tanto, anche se personalmente ne dubito.
Maria Antonietta Labianca