Se doveste chiedere ad un politico di indicarvi una soluzione al problema della giustizia, vi parlerà certamente di una eccellente riforma. Se doveste chiederlo ad un magistrato vi esplicherà di quale riforma la giustizia necessiti per poter meglio funzionare. Se invece la stessa domanda la rivolgeste ad un avvocato, penalista o civilista che sia, vi elencherà i punti del nostro ordinamento che necessitano di una riforma.
Tutti, in ogni caso, parleranno di riforma.
Ma è proprio vero che abbiamo bisogno di riforme, di altre riforme?
Forse no. E questo perché l’impianto di base dell’ordinamento giuridico italiano è organico ad un tipo di Stato, quello prebellico, non più esistente ed ogni sua modifica non può che creare problemi. Quello Stato, infatti, aveva ben chiaro ciò che voleva essere e ciò che auspicava di diventare e a tal fine mise in piedi un sistema giuridico ad hoc che obbediva ad una logica. Lo Stato che è seguito è informato ad una Costituzione alla quale però non sono seguite le necessarie e conseguenti leggi attuative, i conseguenti codice civile, codice penale, codice di procedura civile e codice di procedura penale, per non parlare poi di tutti quegli enti statali e parastatali, e dei loro relativi ordinamenti. Alla retorica delle enunciazioni costituzionali non è seguita la realizzazione di un ordinamento organico, ma si sono susseguite fino ad oggi riforme su riforme delle riforme di quel precedente assetto statale, che hanno creato un ordinamento ibrido, un mostro giuridico, che crea non poche difficoltà nell’immediata percezione del diritto da parte del semplice cittadino come pure da parte degli addetti ai lavori, costretti ad un continuo esercizio di strabismo tra la norma scritta e quella interpretata, quando non tra quella non scritta e quella creata dalla Suprema Corte, il tutto a scapito della certezza del diritto con conseguente aumento del contenzioso giudiziario.
Ci vorrebbero volontà, coraggio e competenza per riscrivere tutto. In chi li troveremo?
Paolo Scagliarini