In questo feroce caldo d’agosto, essendo rimasto qui, nella mia Martina Franca (patria degli asini e mi riferisco, ovviamente, alla celebrità raggiunta nel mondo dal comune tarantino, anche per gli onesti ed amabili equini e non solo per la sua incantevole e signorile bellezza), mi lascio andare alle più sfrenate divagazioni. Il caldo, si sa, non rende ottimi servigi a chi vuole pensare ed, in effetti, i pensieri se ne vanno per i fatti propri.
In attesa del famoso carro che mi porterà nel paese della cuccagna e di Pinocchio che, ormai, è in colpevole grande ritardo, mi soffermo a leggere tutto ciò che mi capita a tiro. Niente di importante, però …
E nella mia disarmante stupidità e crassa ignoranza, mi trovo a rimirare un verbo ed un sostantivo che sembrano, in questo particolare momento storico, aver pervaso le menti ed il vocabolario di quanti, in verità, hanno scoperto l’esistenza di questi vocaboli, solo di recente, in evidenza (loro sì veri somari!) senza averne compreso fino in fondo il significato.
I termini che, per tanti somari, rappresentano una vera e propria rivoluzione copernicana, sono stigmatizzare e stigmatizzazione, utilizzati un po’ a casaccio (segno che, forse, questi vengono utilizzati per moda o perché gradevoli al proprio udito o per mostrare la propria chiultura).
Per carità: la conoscenza di nuovi termini è sempre un elemento positivo e permette di apprezzare (o di rivalutare) quanti – pur fregiandosi del titolo di avvocato – ne abbiano ignorato il significato (e, a dire il vero, lo ignorano anche ora), fino a quando qualcuno non lo abbia utilizzato (magari per sbaglio) per la prima volta.
Poiché io sono più somaro dei somari ed aspiro a diventare come questi, nella mia notoria indolenza, ho avuto l’ardire di prendere tra le mani un dizionario e consultarlo. Con mia somma sorpresa, ho scoperto che stigmatizzare – nel Vocabolario Treccani – assume, tra gli altri, il significato di “2. In senso fig. e con tono enfatico, biasimare con frasi aspre e taglienti, quasi a imprimere un marchio: s. il comportamento, le decisioni di qualcuno; il presidente dell’assemblea ha stigmatizzato l’ipotesi di astensione dal voto”.
E mi sono venuti in mente tutti quei recenti provvedimenti di stigmatizzazione attraverso cui dei consessi qualificati (o forse anche poco qualificati), quasi sostituendosi alla giustizia umana e Divina, hanno biasimato con frasi aspre e taglienti, quasi ad imporre un marchio” coloro i quali hanno solo osato criticare determinati atteggiamenti e/o evidenti e riconoscibili lacune di qualcuno, arrivando a chiedere (udite, udite!) le dimissioni di somari conclamati che (non si sa come) si fregiano di titoli immeritati (o poco meritati) di rappresentanti Istituzionali
Ciò che, però, effettivamente mi turba, sono l’utilizzo scriteriato di quel verbo e di quel sostantivo e l’intrinseca motivazione di tale (distorto) utilizzo: vuoi vedere che qualcuno stigmatizza, non potendo fucilare (metaforicamente o no, è altro problema) chi osa criticare il padrone del vapore? E, dunque, mi viene in mente un cartello posto sulle grate del cavalcavia pedonale di Corso Cavour, a Bari (quello che supera la ferrovia, tanto per intenderci): chi tocca i fili, muore!
Certe dimissioni non si chiedono, anche se riguardano degli asini patentati e conclamati, pena la stigmatizzazione senza processo e senza appello. Quindi la parola d’ordine è stigmatizzare. In attesa che la libertà di espressione venga tolta, in certi consessi.
“Ahi serva Italia di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donne di province, ma bordello” (Purgatorio, canto VI, versi 76 – 78, Divina Commedia).
Vogliamo atteggiarci a ferventi democratici; ma restiamo solo dei grandi somari.
Ed intanto il carro trainato dagli asini non ne vuole sapere di passare …
Lucignolo