I prossimi 24, 25 e 26 Settembre 2021, le Unioni delle Camere Penali Italiane (UCPI), Associazione maggiormente rappresentativa a livello nazionale, si riuniranno in Congresso per il rinnovo delle cariche sociali. Come in ogni Congresso che si rispetti, ci saranno interventi di relatori importanti la cui scelta – come è ovvio e logico che sia – è toccata ai vertici di una Associazione. E’ stato un caso (o forse una scelta, ma non è questo il problema) che l’UCPI abbia ottenuto la disponibilità di importanti personalità Accademiche di sesso maschile, per suscitare le ire funeste di parte di alcuni CPO italiani (tra cui quello di Bari) i quali – istituzione – hanno, il 17 settembre scorso, inviato una lettera al Presidente uscente dell’UCPI.
Questo il testo: “Gentile Presidente, nel visionare il programma del XVIII Congresso nazionale delle Camere Penali Italiane dal titolo “Cambiare la giustizia, cambiare il paese”, i sottoscritti Comitati Pari Opportunità degli Ordini degli Avvocati e delle Avvocate non hanno potuto non notare, tanto è evidente, la totale assenza di colleghe fra coloro che illustreranno e presenteranno la proposta dell’avvocatura per una nuova stagione delle garanzie. Un confronto così organizzato non è certamente rappresentativo della nostra avvocatura, composta ad oggi, per la maggior parte, da donne. E neppure di quella specialistica che contempla le penaliste in numero pari ai colleghi. Questa rimozione di genere, a nostro modo di vedere, viola i principi costituzionali di uguaglianza sostanziale e di pari opportunità. Come è certamente a Lei noto, la parità di genere è stata inserita nell’Agenda Onu 30 come obiettivo strategico e cruciale per il conseguimento del traguardo dello sviluppo sostenibile della società. Anche la Commissione europea per il periodo 2020 2025 – così come la nostra Ministra per le pari Opportunità per il periodo 2021/2026 (il nostro Paese si trova al quindicesimo posto nella classifica europea del Gender Quality) – ha elaborato specifiche strategie per il raggiungimento di quell’obiettivo, tra cui vi rientra quella della presenza delle donne nell’agito, inteso in senso universale, della società civile. 2 Il nostro Presidente della Repubblica, nel discorso del 2 giugno scorso, ha individuato la parità di diritti fra donne e uomini quale obiettivo della Repubblica, ricordando quanto sia lunga la strada ancora da percorrere per la concreta realizzazione dell’uguaglianza non ancora raggiunta sebbene formalmente sancita da oltre sessant’anni. Crediamo che l’avvocatura – nell’ambito del rispetto dei diritti e della garanzia delle tutele costituzionali – debba sempre essere in prima linea e da esempio nella società civile, anche in adempimento al ruolo sociale che le è proprio. Non dare ingresso alle donne ad un’assise così importante significa rinunciare al contributo determinante e dirimente delle colleghe. La tutela delle garanzie cui si ispira il Vostro congresso, può e forse deve, rivolgersi anche al valore costituzionale delle pari opportunità, strumento irrinunciabile per condurre la nostra professione oltre la crisi che oggi la contraddistingue e per contribuire a creare una società sostenibile, socialmente ed economicamente. Ci pare che la scelta di dar voce al solo genere maschile dell’avvocatura sia, in tal senso, un’occasione persa cui l’Unione delle Camere Penali potrebbe porre rimedio. Nell’augurarci una proficua interlocuzione, Le rivolgiamo, pertanto, l’esplicito invito, quali componenti istituzionali dell’avvocatura italiana, a rivedere il programma dell’evento nell’ottica sopra indicata e a tenere conto di quanto sopra anche per le future programmazioni”.
Al netto del richiamo a concetti giusti e condivisibili, nel corpo della predetta lettera aperta e della risposta (stizzita e giustamente sprezzante del Presidente Caiazza), questa lettera pone un dubbio e cioè: può una istituzione (sia pure monca, visto che stiamo ancora parlando della natura giuridica dei Comitati Pari Opportunità, previsti dalla Legge – art. 25, c. 1, Legge Professionale – ma non ancora compiutamente disciplinati dalla Legge stessa) dettare le regole di condotta ad una Associazione? Laddove – si badi bene! – il verbo dettare, in questo caso, acquista il significato di imporre ad una Associazione le proprie regole.
La risposta di Caiazza non si è fatta attendere respingendo al mittente l’accusa di machismo e di sessismo (perché, anche se non era scritto a chiare lettere, i CPO sottoscrittori della lettera aperta questo imputavano all’UCPI) ed invitando i citati CPO a rivolgere le proprie accuse al mondo Accademico (questo sì istituzione).
Già in passato, la c. d. Rete Nazionale dei Comitati Pari Opportunità (o, meglio, alcuni CPO) aveva tentato di abbozzare una protesta simile nei confronti di un’altra Associazione maggiormente rappresentativa a livello nazionale (in quel momento, era l’AIGA), in quanto – a dire di alcuni CPO – v’era assenza di donne fra i relatori, a dimostrazione del fatto che non si conoscono i propri limiti di azione e che, molto spesso, si travisano i ruoli.
Può una istituzione tentare di imporre le regole ad una associazione? E’ legittima la domanda e ci si augura che la risposta non contenga una (velata o aperta) accusa di machismo e di sessismo.
Piuttosto è arrivato il momento di porre alla attenzione della Avvocatura il problema della natura dei Comitati Pari Opportunità e della loro completa istituzionalizzazione, all’interno di una revisione di quell’obbrobrio che è la Legge Professionale e che, da quasi dieci anni a questa parte, subisce critiche impietose (anche da parte di chi, nel 2012, disse che era una Legge necessaria).
Nicola Zanni