Maledetti social, maledetto Facebook, maledetto Instagram: ora rovinate anche le amicizie (amicizie mò… conoscenze almeno virtuali, diciamo) perché è dato leggere (ed interiorizzare e capire, a proprio piacimento) i commenti, le frasi, addirittura gli emoticon postati (si dice così, che sia chiaro) da chi si trova ad esprimere un proprio pensiero.
Sembra che ci siano (addirittura) degli studi sulla fenomenologia del soggetto Facebook. Sembra che qualcuno voglia cogliere (dai commenti altrui, dai post altrui, dagli emoticon inseriti ai post ed ai commenti virtuali) lo stato d’animo di chi si azzarda a farlo, arrivando (con presunzione!) ad attribuire a tutto ciò, valenza di realtà. In pratica, dimmi cosa posti, come commenti, come reagisci ai commenti, e ti dirò chi sei. Se non fosse vero, ci sarebbe da ridere. Ma, poiché è vero, c’è da compatire questo tipo di atteggiamento, divenuto ormai il simbolo della nostra realtà. Ed è, ahimè!, da compatire chi si fa prendere la mano.
Dando uno sguardo alla genesi dei social (ed in particolare del social degli anziani, vale a dire Facebook, così ribattezzato dalla generazione del Tik Tok), si nota che questo “(originariamente The Facebook) è un social media e rete sociale statunitense, creato il 4 febbraio 2004, inizialmente come servizio gratuito universitario e successivamente ampliato a scopo commerciale” (fonte Wikipedia). In pratica, è nato come servizio universitario gratuito. Poi, nel momento in cui è esploso come fenomeno planetario, arrivando a mettere in contatto milioni e milioni di persone, è evidentemente sfuggito di mano.
Ed i risultati si vedono. Tutti.
Questo pamplhet ha, ovviamente, velleità dissacratorie di quelli che sono (di fatto) i lati oscuri dei social, dietro i quali vi sono persone le quali (non si capisce per quale recondito motivo) attribuiscono determinati significati a determinati comportamenti social. Se quello commenta in quel modo, se quella scrive quella cosa, ce l’ha con me (o sta dirigendo le sue attenzioni, il più delle volte negative, verso di me).
Probabilmente il permaloso (o la permalosa) di turno ha anche ragione. Forse il social ha sostituito (anche se in parte) il famoso tazebao di cinese memoria (particolare mezzo di comunicazione durante la Grande rivoluzione culturale, sviluppatasi in Cina tra il 1966 e il 1968, quando i controrivoluzionari venivano eliminati – a dire il vero, lo sono anche oggi, ma questa è altra storia – mentre gli ortodossi sventolavano il libretto rosso di Mao, Bibbia della Rivoluzione cinese).
Di certo, il tutto ha assunto i contorni di una farsa (se non fosse che, talvolta, queste cose sono vissute come una tragedia).
E allora, a questo punto, conviene rimanere nell’ombra ed assistere ai deliri social di mancati Pavese, di mancati Marx o Lenin o Engels ed alle reazioni scomposte (ed incomprensibili, francamente) di soggetti particolari che, più che della compagnia dei social, avrebbero bisogno di un aiuto. Ma di uno bravo!
P.S. Il social ha ormai sostituito la realtà. Sarà banale dirlo, ma giova ripeterlo. C’è ancora chi preferisce la sana chiacchierata di persona o la sana telefonata. Il social serve per il cazzeggio e anche per veicolare (se si vuole) un proprio messaggio (politico, sociale, giocoso, triste, non importa). Ma da qui ad elevarlo ad indice di gradimento (controllo dei like per alimentare il proprio ego) o a termometro dell’altrui sentimento, ce ne vuole. E chi lo fa, sta veramente male.
Nicola Zanni