Una frase vernacolare dice “ce scut ngil, mbacc t’ ven” (letteralmente se sputi in cielo, in faccia ti viene). Il senso è chiaro: non fare e non dire nulla contro qualcosa o qualcuno perché, poi, inevitabilmente, tutto – inesorabilmente e con forza – ritorna. Se i vecchi saggi utilizzavano perifrasi colorite per insegnare (in altri ambiti, parleremmo di parabole, ma rischieremmo l’accusa di blasfemia), oggi i saggi parlano di karma. Dunque, attenzione al Karma.
Qualche tempo fa, le cronache parlavano di un alto e prestigioso Magistrato che – oltre ad una inchiesta famosissima (Mani Pulite, per intenderci) – era diventato celebre per un’altra frase: l’imputato innocente è un colpevole la cui colpevolezza non è stata dimostrata. In barba all’art. 27, c. 2, Costituzione, ad un altro paio di norme costituzionali ed al principio del giusto processo. Altra sua perla: se il ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile, si deve condannare al pagamento l’Avvocato che ha patrocinato il condannato. In pratica, il Magistrato – al pari di un quisque de populo – cerca di far coincidere la figura del legale con quella dell’assistito; con la conseguenza che, in futuro, si alzerà qualcun altro il quale farà una proposta ancora più innovativa: se l’assistito è stato condannato (in sede penale, in sede civile, in sede amministrativa, ecc.), dovrà pagare il suo avvocato anche la sanzione comminata all’assistito. E’ una iperbole, certo. Ma ormai, in questo periodo, fa notizia chi la spara più grossa.
Eletto a monumento imperituro del giustizialismo, da parte di chi vorrebbe il ritorno alle ordalie (ma non ha il coraggio di dirlo, pena il ludibrio pubblico e forse perché si rende conto di essere fuori dal mondo), oggi il nostro Robespierre è incappato nelle maglie della Giustizia, venendo condannato dal Tribunale di Brescia ad una pena (sospesa) di anni 1 e mesi 3 di reclusione per aver diffuso dei verbali segreti relativi ad una inchiesta e per aver danneggiato un suo collega.
Se fosse coerente e si ricordasse le sue affermazioni pregresse, ben si potrebbe dire che – finora – egli è un imputato che, a seguito della condanna, è un colpevole che non ce l’ha fatta. Ma ci sono altri due gradi di giudizio e l’art. 27, c. 2, Costituzione (“l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”), vale anche per lui (giustamente).
L’Alto Magistrato era assistito da un Avvocato: se la solidarietà nella sanzione fosse stata Legge, l’Avvocato (che ha difeso il Magistrato predetto) sarebbe stato condannato con lui. E’ sempre una iperbole; ma potrebbe non essere tale.
“Ce scut ngil, mbacc t’ ven”, verrebbe da dire. Ma non lo diciamo.
Piuttosto auguriamo all’Alto Magistrato di venir fuori dalla vicenda che lo riguarda con la formula perché il fatto non sussiste.
E, allo stesso tempo, gli chiediamo di fare ammenda (anche solo privatamente o con la sua coscienza), memore di un altro detto vernacolare: “na parol d’ men e t’arretir a cast” (letteralmente “una parola di meno e ti ritiri a casa”). In fondo, basta limitarsi nelle esternazioni iperboliche. In una Nazione in cui tutti tendono a dividersi su due fronti (i buoni, di qua, ed i cattivi, di là), anche senza conoscere nulla dei fondamenti del Diritto, ci sarebbe bisogno di competenza anche nel tacere.
Ma (forse) si era certi che – come nei regimi assoluti (da ab e solvere – sciolto da ogni vincolo) – l’intangibilità dell’uomo segue l’opinione pubblica ed il rumore che fa (tintinnio di manette), dimenticandosi che il nostro è uno Stato di diritto (e non uno stato etico, dovendoci poi mettere tutti d’accordo sul significato da attribuire all’aggettivo etico, visto che l’iperuranio non esiste e che il suo ideatore è morto nel 347 Avanti Cristo).
Nicola Zanni*
*Direttore editoriale di Futuro@Frense