Sveglia e caffè, barba e bidé. Presto che perdo il tram

Questa è la terza strofa della nota “Ballata di Fantozzi” (colonna sonora del “Secondo tragico Fantozzi”, secondo film della saga del Ragioner Ugo Fantozzi, mitica maschera di Paolo Villaggio) che riassume, a nostro pensiero, in maniera tragicomica l’attuale condizione dell’avvocatura italiana.

La questione, in realtà, è appena più complessa posto che l’avvocato di tram (ove ce ne fossero ancora), nel corso della propria vita, ne dovrebbe prendere molti, tanti, troppi; ma come il servile Ugo Fantozzi ci ha mostrato, è assai più facile cadere dal tram in corsa che restare saldamente a bordo (ed è più semplice tirarsi dietro tutti quelli cui ci si vuole aggrappare).

Nel corso degli anni, quella che era la professione liberale per eccellenza ha subito una evidente involuzione, dove con un costante e continuo avvitamento su sé stessa, ha raggiunto livelli di decoro e dignità estremamente bassi. Il comune denominatore che ha caratterizzato l’avvocatura di base (che rappresenta la maggioranza degli iscritti agli Albi, non dimentichiamolo!), è rappresentato dalla totale inerzia innanzi al destino, ovvero dall’impossibilità (vera o presunta) di poter controvertere la sorte avversa …

Aumento esponenziale degli iscritti all’albo, calo generalizzato della clientela, obbligo formativo, pressione fiscale, cassa di previdenza, gestione separata, queste, di volta in volta, sono state le motivazioni offerte per giustificare una oziosità cosciente e volontaria.

Sono questi gli elementi che, a nostro giudizio, hanno causato una crisi senza pari e che, uno per uno, meritano un approfondimento ad hoc, partendo da una domanda (forse scontata ma ineluttabile): di chi è la colpa? Del fato avverso? Di noi che non abbiamo saputo o voluto comprendere e guidare i cambiamenti e ci siamo adagiati in attesa degli eventi, come se le cose si dovessero aggiustare per il solo trascorrere del tempo? Della congiuntura astrale negativa?

Inutile negarlo, l’avvocato si è trasformato in una iperbole vivente, un eccesso, in cui l’umanità viene sopraffatta dalle immani disgrazie da cui viene investito ed alle quali non reagisce minimamente (per sua volontà o perché incapace – forse per la prima ipotesi-), essendo diventato, nel corso degli anni, quasi una maschera espressione della mediocrità.

All’apparente sopraffazione si è contrapposta la rappresentazione della miseria umana dove, nel malcelato tentativo, di sopravvivere si passa dal servilismo verso il potente di turno alla meschinità nei confronti del più debole.

Questa, sebbene crudele, ci pare essere l’attuale condizione dalla quale ripartire per costruire una nuova avvocatura consapevole, preparata e pronta a riscrivere le regole del gioco.

Siamo uomini, è vero. Ma dobbiamo, come avvocatura, partire dal dubbio socratico del “sapere di non sapere”, cercando di comprendere – quasi kantianamente – i motivi per i quali si è arrivati a questi livelli.

Ci vorrà del tempo, sicuramente. Ma Roma non è stata costruita in un giorno …

Il direttivo di Futuro@Forense

Michele Rubino

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