Il termine “giustizialismo” è stato adottato nel linguaggio popolare per definire l’atteggiamento di chi, per convinzione personale o come interprete della pubblica opinione, proclami la necessità che venga fatta severa giustizia a prescindere magari anche rapida e in modo sommario, ponendosi di fatto in opposizione ai cosiddetti “garantisti” e a quanti, invece e per fortuna, si mostrano favorevoli ad un sistema basato sul giusto processo e sulla presunzione di non colpevolezza e, soprattutto, sulla accettazione delle sentenze anche se non rispondono al principio del “giustizialismo” a tutti i costi.
Ci sono delle persone, pertanto, per le quali il mezzo è giustificato dal fine e, quindi, volendo a tutti i costi raggiungere un fine – quello del giustizialismo – utilizzano tutti i mezzi messi loro a disposizione, quasi che il loro ruolo e la propria carica ricomprenda anche quello di fare i moralizzatori, affinchè i loro principi prevalgano su quelli degli altri.
In generale, il ciclo di moralizzazione inizia con atteggiamenti paternalisti. Persone che vendono consigli spicci senza che nessuno glieli abbia chiesti. Valutano l’altro come se il loro giudizio fosse prezioso. L’aspetto peggiore è che, spesso, queste persone sono tutt’altro che un modello di comportamento. Tuttavia, a volte, occupano un ruolo o un incarico che conferma la loro idea di essere migliori degli altri.
La caratteristica principale della moralizzazione e del moralizzatore è quella di cercare di imporre agli altri precisi modelli di comportamento.
Chi si avvale di un atteggiamento di questo tipo si considera moralmente superiore. Perché è padre o madre, perché è capo, o più semplicemente, perché ha abilità verbali maggiori degli altri.
A volte si pensa che occupare posizioni di rilievo conceda il diritto di influenzare la condotta altrui, ma così non è, poiché c’è una bella differenza tra educare e fare la morale.
Chi scrive non ritiene di poter fare la morale a nessuno, né tantomeno ritiene di averne titolo anche se per alcuni forse è così.
Diceva, infatti, Khalil Gibran: “Chi indossa la sua moralità come il suo abito migliore, farebbe meglio a restare nudo”.
Noi ci siamo!
Eugenia Acquafredda