Diffamazione e coda di paglia. Dove non sussiste il reato e dove comincia a bruciare la coda di paglia

Articolo 21, c. 1, Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”.       

Uno dei principi cardine del nostro Ordinamento Giuridico è l’art. 21, Costituzione, il quale tutela il diritto di ognuno (cittadino o meno, questo è poco importante) di esprimere la propria opinione, avendo – come limite – solo quello di non offendere l’altrui persona o libertà o moralità, ed esercitando – ognuno – il suo diritto entro i limiti che l’Ordinamento Giuridico pone a tutela dell’altrui persona e/o della libertà e/o della moralità di ciascuno.

Laddove tali limiti vengano travalicati, sarà l’Autorità Giudiziaria (penale e/o civile), laddove investita, a giudicare se un comportamento censurato da chi si sente offeso, sia (o meno) passibile si sanzione e se l’offeso abbia (o meno) diritto a un risarcimento di Giustizia. E sarà solo ed esclusivamente l’Autorità Giudiziaria a decidere, restando totalmente indifferente (all’Ordinamento Giuridico e al mondo intero) se il comportamento (ipoteticamente) offensivo possa urtare la suscettibilità di qualcuno.

In questo mondo ormai virtualizzato, dove gli scontri più accesi si sviluppano sui social (ormai assurti al livello di novelli ring, in cui torme indifferenziate di soggetti – più o meno analfabeti (e si nota solo leggendo gli strafalcioni che scrivono) e più o meno permalosi (e anche in questo caso, basta notare i loro atteggiamenti fuori e dentro il virtuale) – si scontrano.

Lungi dal voler moralizzare il mondo, si ricorda (fra le tante massime della Suprema Corte) quella secondo la quale “in tema di diffamazione, ricorre l’esimente dell’esercizio del diritto di critica … quando le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale” (Cass. Pen., sez. V , 14/10/2021 n. 320).

Soggetti più o meno permalosi tengano bene a mente questa massima, dettata dalla Suprema Corte di Cassazione e, finora, mai smentita da nessun Giudice di merito. In questa massima, si fa espresso riferimento (anche) alla continenza verbale, vale a dire al requisito che attiene alle modalità di comunicazione.

Peraltro, sempre nei limiti indicati dalla Legge e da chi è chiamato a verificarne l’esatta applicazione (la Magistratura), “se, da un lato, la critica consente l’utilizzo di un linguaggio graffiante o colorito ed in particolare la critica politica si caratterizza per l’uso di toni anche più aspri, pungenti ed incisivi rispetto a quelli comunemente usati, ciò deve pur sempre avvenire nel rispetto della continenza, ossia senza superare i limiti di quanto strettamente necessario all’espressione della propria opinione, dovendo la critica esprimere un dissenso ragionato sulle opinioni o sui comportamenti del soggetto preso di mira, senza trascendere in contumelie, in affermazioni ingiuriose o in attacchi offensivi o denigratori, ovvero in espressioni volte a colpire la figura morale della persona criticata” (Tribunale di Terni, 3/7/23, n. 475).

Dunque, il diritto di critica viene salvaguardato, con buona pace di permalosi di ogni risma, cui non rimane che – eventualmente – togliere il saluto a chi la critica la esprime, anche con toni forti ed aspri (ma sempre nei limiti della continenza). E la coda di paglia si accende ogniqualvolta qualcuno si sente colpito.

Ma, tant’è, tutti se ne faranno una ragione…

            Nicola Zanni

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