La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito da tempo che l’espressione “famiglia di fatto” non consiste soltanto nel convivere come coniugi, ma indica prima di tutto una famiglia, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, di educazione e istruzione dei figli. All’uopo riporto una delle massime più rappresentative della Cassazione civile I sez n. 6855/2015 che così recita: “Ove tale convivenza assuma i connotati di stabilità e di continuità e i conviventi elaborino un progetto e un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio), la mera convivenza si trasforma in una vera e propria famiglia di fatto”.
Proprio in virtù di tale equiparazione tra famiglia fondata sul matrimonio e convivenza more uxorio, in Italia, negli ultimi anni sono state elaborate e introdotte nuove forme di tutela per la famiglia di fatto e soprattutto per i figli nati all’interno di essa. Uno degli aspetti più eclatanti nella legge n. 219/2012, in vigore dal 1° gennaio 2013, è l’aver eliminato la differenza tra figli naturali (nati fuori dal matrimonio) e figli legittimi (nati in costanza di matrimonio), sicchè sia gli uni che gli altri godono degli stessi diritti, parimenti, i genitori sono tenuti ad osservare nei loro confronti i medesimi diritti e doveri. Ulteriore elemento di novità introdotto dalla succitata legge è che la competenza processuale sulle questioni inerenti l’affido e il mantenimento dei figli sia delle coppie di fatto che delle coppie coniugate, spetta al Tribunale ordinario.
Così come accade per le coppie coniugate, anche per le famiglie di fatto si potrebbe verificare la crisi, ergo la separazione, sicchè diventa prioritario regolamentare il rapporto genitoriale con i figli minori nati nella convivenza.
Sul punto, la già richiamata legge Cirinnà ha il merito di aver esteso l’ambito di applicazione della mediazione familiare, quale strumento stragiudiziale, anche alle famiglie di fatto in crisi. Il mediatore (sia esso terapeuta o avvocato) e i legali con competenze specifiche nelle tematiche di gestione della crisi famigliare, possono addivenire o ad una vera e propria soluzione della crisi di coppia con conseguente riappacificazione, oppure a una comprensione delle ragioni della crisi e quindi al raggiungimento di una separazione pacifica, attraverso una scrittura privata di impegno, trascritta, laddove vengono trasfusi gli accordi condivisi sulla gestione della prole, mantenimento in favore del figlio e diritto di visita. E’ indubbio che all’interno della mediazione famigliare rivestono un ruolo fondamentale i figli in favore dei quali si vuole preservare quel clima di serenità e di unione spirituale che aveva caratterizzato la famiglia prima della rottura-crisi, e tanto perchè si vuol evitare che subiscano traumi maggiori a quelli già inevitabili che la rottura comporta di per sè. Ragion per cui, a tutela dei figli è sempre opportuno che l’accordo raggiunto tra i genitori venga depositato in Tribunale che valuterà l’assenza di condizioni contra legem o contrarie al superiore interesse del minore e, solo in caso di correttezza delle condizioni ivi previste, previa apposizione del visto da parte del P.M., doterà di ufficialità o ratificherà il ridetto accordo.
Può accadere, però, che la mediazione familiare fallisca nel suo intento per cause gravi e insanabili verificatesi all’interno della coppia, e in tal caso i genitori della famiglia di fatto dovranno necessariamente ricorrere allo strumento giudiziale, ovvero al ricorso in Tribunale.
La strada giudizale rappresenta comunque lo strumento al quale la famiglia di fatto può ricorrere se non vuole avvalersi dello strumento della mediazione familiare.
Intrapreso l’iter giudiziale, sarà la sezione famiglia del Tribunale Odinario di residenza del minore ad occuparsene, posto che la L. 219/2012 ha spostato la competenza dal Tribunale per i Minori.
Una volta depositato il ricorso ex art. 316 e 317 bis c.c. il Presidente del Tribunale concede due termini, uno alla parte ricorrente per la notifica del ricorso, e l’altro alla parte resistente per depositare una memoria difensiva. Il Collegio, successivamente, potrà o fissare udienza, o rimettere le parti dinanzi al giudice delegato per una possibile soluzione conciliativa, e solo in caso di fallimento di questa si apre la fase contenziosa davanti al Collegio.
L’accordo raggiunto tra i genitori viene poi recepito dal Collegio alla stregua del decreto di omologa della separazione e divorzio.
Tuttavia, v’è sempre la possibilità che i genitori della famiglia di fatto trovino un’intesa sulla regolamentazione del loro rapporto con i figli, e pertanto depositeranno direttamente un ricorso congiunto innanzi al Tribunale ex art. 316. In tal caso la disamina del Tribunale riguarderà la verifica della adeguatezza delle condizioni raggiunte dai genitori nell’interesse superiore del minore ex art. 337 ter c.c affinchè venga recepito dal Collegio.
Questo è in buona sostanza quanto prevedono le norme in materia di famiglia di fatto, crisi e regolamentazione dei rapporti genitoriale coi figli minori, tuttavia non posso non considerare, anche alla luce dell’esperienza maturata finora in tale ambito, che il ruolo di noi professionisti all’interno di certe dinamiche è abbastanza delicato, direi per molti versi fuori dall’ordinario… Infatti, la crisi di coppia è sempre un evento che scatena la psiche umana per cui si assiste al cliente che tende a sminuire o, al contrario, a ingigantire gli eventi il tutto a discapito dei figli. Pertanto, l’approccio del legale alla vicenda umana di cui si fa carico, è quello di analizzare la questione in maniera più oggettiva possibile, quindi andando ben oltre l’interesse della parte che rappresenta, al fine di mettere al centro l‘interesse del minore, poichè in questo tipo di procedimenti ciò che conta è unicamente la tutela del minore. In relazione a tanto è compito del legale capire se v’è possibilità di un affido congiunto, quale sarà la residenza del minore, regolare il diritto di visita del genitore non collocatario, e calcolare l’assegno di mantenimento in favore del figlio. In tutto ciò il legale dovrebbe (il condizionale è obbligatorio) evitare di sapere le cause della rottura, di chi è stata la colpa della crisi, perchè tali circostanze non sono rilevanti ai fini della capacità genitoriale verso il proprio figlio. Proprio per la difficoltà che si incontra in tal senso, talvolta diventa necessario l’intervento degli assistenti sociali chiamati a valutare la capacità genitoriale delle parti e del loro rapporto col figlio. In questo ultimo caso è indispensabile che il legale orienti i genitori a trovare una collaborazione con gli assistenti sociali spogliandosi del livore e della rabbia che seguono naturalmente alla crisi del loro rapporto, per focalizzare la loro attenzione sulle soluzioni protese a favorire il benessere psico fisico del minore. Certamente conta il ruolo del legale, come quello degli assistenti sociali se interpellati, eppure resto convinta di un’idea semplice, che per la soluzione dei conflitti basterebbe che i genitori, se consapevoli della propria maturità (sigh!) cessassero la loro egoistica guerra (anche sui social) e si mettessero nei panni dei propri figli, spettatori inconsapevoli ma non casuali, per poter comprendere il “danno” che gli apportano e al contempo il bene che gli sottraggono. Perciò ritengo che non errava Friederich von Schiller quando sosteneva che “non sono carne e sangue, ma è il cuore che ci rende padri e figli”.
Maria Bruscella