L’OCF con delibera del 22 novembre ha indetto l’astensione dalle udienze e da tutte le attività giudiziarie, in ogni settore della Giurisdizione, tanto in conformità al deliberato dell’Unione delle Camere Penali. La vicenda è quella della riforma della prescrizione (del reato) che entrerà in vigore il primo gennaio 2020, fatto assolutamente noto agli operatori del diritto.
Per tutti gli altri, la prescrizione è un istituto processuale che regola e disciplina gli effetti giuridici del trascorrere del tempo; nel diritto penale definisce l’estinzione di un reato a seguito del trascorrere di un certo periodo di tempo (stabilito dalla legge).
E’ fuori di dubbio che l’Istituto rappresenta la massima espressione di un sistema giudiziario civile dove al centro del sistema punitivo v’è la finalità riabilitativa del reo compiuta a seguito di un adeguato percorso di reinserimento sociale, ovviamente all’esito di un processo che – con buona pace per l’avv. Bonafede, Ministro della Giustizia – potrebbe anche concludersi con una sentenza di non colpevolezza.
Erroneamente e forse anche in malafede qualcuno ha definito l’istituto della prescrizione una sorta di salvaguardia dell’imputato che a seguito del decorso del tempo (rispetto al fatto) sarebbe in difficoltà a reperire le prove a discarico e per tale circostanza – in un’ottica di riequilibrio – il sistema rinuncerebbe alla punizione.
La paronomasia è sin troppo facile ove non si volesse ricordare all’attento Ministro che nell’Atene classica esisteva un termine di prescrizione di 5 anni per tutti reati, ad eccezione dell’omicidio e di quelli contro le norme costituzionali che non avevano termine di prescrizione.
Demostene (logografo, avvocato e politico) nel 360 a.C. anno più anno meno scrisse, a proposito della prescrizione, che l’istituto assolveva alla necessità di controllare l’attività dei sicofanti.
Come sicuramente sanno i fautori della riforma (in quanto fini giuristi) nell’antica Atene qualunque cittadino poteva sostenere l’accusa ed il processo era un fatto che impegnava l’intera comunità, piccolo particolare è che il novello PM, in caso di conclusione positiva del processo, percepiva una parte della multa comminata al colpevole.
L’abuso delle accuse fatte solo per ragioni politiche o economiche ne fece mutare il significato, sicché i sicofanti divennero agli occhi della società coloro che lanciavano accuse e denunce non in uno spirito civico, ma per guadagno.
Questa deviazione dal ruolo originario rese il termine ingiurioso nell’antichità, tanto che Demostene soleva definirli “cani del popolo”. Il sistema ateniese introdusse in seguito delle sanzioni per limitare il diffondersi delle attività dei sicofanti, tra le quali quella della prescrizione.
Il principio della prescrizione nasce nella prima forma di governo democratico attestata nella storia (Atene) e per tale ragione non può e non deve essere merce di scambio per accontentare moderni sicofanti animanti da motivi politici.
Dal primo gennaio 2020 salvo ripensamenti dell’ultima ora, lo Stato italiano introdurrà nell’ordinamento giudiziario la figura dell’imputato a vita, una sorta di ergastolo processuale tipico di un regime totalitario dove è abolita ogni forma di garanzia.
Nell’auspicio che il buon senso possa illuminare i nostri parlamentari si esprime massima solidarietà e sostegno ai Colleghi penalisti per il loro impegno nella difesa dei principi civili.
Michele Rubino