L’Italia è una Repubblica di tipo Parlamentare ed è, dunque, espressione (insieme a molti altri modelli anche Europei) di quella che viene definita una “Democrazia Moderna”, la quale – per essere e rimanere tale – necessita di regole e che tali regole seguano un certo ordine.
Il venir meno dell’ordine – soprattutto se avviene in modo graduale e nel lungo periodo – ha fatto spesso parlare molti studiosi di decadenza ovvero come di una perdita progressiva di efficienza del Sistema oltre che di perdita della capacità politica di gestire quelle regole e soprattutto il loro ordine.
Per noi avvocati e, quindi nel linguaggio giuridico, per decadenza si intende “perdere l’esercizio di un diritto” e, dunque, in senso figurato e nella accezione che qui più rileva, implica di fatto l’inizio del declino.
Ed infatti, assistiamo ad un decadimento morale, oltre che istituzionale non solo nei Palazzi in cui si gestisce la “res publica” ma anche a livello locale nei luoghi in cui si esercita la “giustizia”.
Si è ormai testimoni da qualche tempo a questa parte – e l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo di fatto non ha fatto altro che scoperchiare il “vaso di pandora” facendo venire a galla la gravità della situazione che si sta vivendo – che le regole con le quali va gestita la macchina della giustizia non sono necessarie. A quali regole ci si riferisce? Presto detto.
Le regole sono quelle del confronto, della concertazione, del dialogo e della condivisione da parte dei vari operatori del diritto per cui tutte le decisioni che devono essere assunte e che riguardano la giustizia – stante la assenza di direttive da parte del Governo e quindi del Ministro della Giustizia di turno – devono essere frutto di un lavoro di tutti i soggetti rappresentativi delle varie categorie impegnate a mantenere la macchina della Giustizia efficiente.
Ed invece ci si è ritrovati di fronte ad una valanga di provvedimenti assunti d’imperio e senza che la categoria degli avvocati fosse stata adeguatamente coinvolta. Evidentemente noi avvocati non siamo stati ritenuti (non lo siamo da tempo) interlocutori adeguati e, dunque, come un macigno è piombato su di noi avvocati del Foro di Bari il Decreto n. 57 del 27 aprile 2020, il quale di fatto ci informa che (pag. 5 paragrafo 16) “le udienze già fissate per la trattazione di procedimenti civili e penali, di lavoro e previdenza – con le eccezioni indicate al comma 3 dell’art. 83 del D.L. 18/2020 e le altre di seguito indicate – saranno tempestivamente rinviate ad epoca successiva al 30 giugno 2020 (…)”.
Le eccezioni previste dal comma 3 dell’art. 83 del D.L. 18/2020 riguardano i giudizi pendenti dinanzi ai Tribunali dei Minori, Immigrazione, Volontaria Giurisdizione e poco altro e, dunque, di fatto la stragrande maggioranza del contenzioso attualmente pendente dinanzi al Tribunale e Giudice di Pace di Bari subirà uno stallo senza precedenti.
In premessa alla pagina 1 del suddetto Decreto 57/2020 si dà atto peraltro di aver “sentito il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari” e, quindi, la domanda che mi sorge spontanea è: il Presidente concorda con questa decisione di un “RINVIO DI MASSA” delle udienze a data posteriore al 30 giugno 2020?
Davvero su questo punto, ove i nostri rappresentanti abbiano davvero partecipato alla stesura del Decreto de quo, il Presidente del COA Bari non aveva nulla da dire, ma si è limitato – dopo essere stato sentito – ad un semplice va bene?
Da un articolo apparso su Repubblica di oggi 29 aprile 2020, sembrerebbe (riporto pedissequamente il passaggio dell’articolo) che il Presidente del COA Bari abbia “interloquito a lungo con il presidente del Tribunale Domenico De Facendis impegnato nella stesura del Decreto con cui il 27 aprile sono state dettate le regole per la amministrazione della giustizia dal 12 maggio al 30 giugno” (il Decreto 57/2020).
Il Presidente del COA Bari alla domanda: “Presidente, la Giustizia riparte dopo un mese”, che poi un mese non è dato che dal 9 marzo siamo di fatto paralizzati e lo saremo almeno sino a dopo il 30 giugno 2020, così risponde: “è già un risultato importante, non ci sarà alcun rinvio di massa dei processi, come qualcuno aveva erroneamente interpretato. Il Decreto De Facendis dice cosa si può fare e come, dà indicazioni sulla fattibilità delle udienze, tenendo conto, come è necessario, delle indicazioni della autorità sanitaria”.
Io, pertanto, sono tra coloro che ha erroneamente interpretato il paragrafo 16 del Decreto 57/2020 e, pertanto, attendo fiduciosa, magari attraverso un’altra intervista o una diretta streaming la “giusta” interpretazione nella speranza che non saranno i fatti (ovvero i rinvii) a darmi ragione.
Quello che appare è un agire da solo e senza la preventiva concertazione non solo tra gli operatori del diritto, ma anche all’interno dello stesso Consiglio dell’Ordine che, in questo periodo appare più che mai disancorato dalle proprie funzioni, spodestato della sua natura di organo collegiale in cui le decisioni che poi il Presidente porta all’esterno sono frutto di confronto tra i vari componenti del Consiglio stesso.
Non vi è traccia infatti nelle Delibere del COA degli ultimi mesi dei passaggi relativi alle proposte (assunte in consiglio dunque) da portare agli altri interlocutori e, pertanto, l’assenza di dialogo e di rispetto delle regole, mi porta inevitabilmente a parlare di “Decadenza Istituzionale”.
L’auspicio è che si torni a fare il bene della Avvocatura barese intorno al Tavolo del Consiglio attraverso, dunque, il confronto tra le varie voci che lo compongono e attraverso il rispetto delle regole che certamente garantiranno ordine e democrazia.
La conseguenza non potrà che essere il disordine e, dunque, una fase di declino.
NOI CI SIAMO!
Eugenia Acquafredda