Si dice, e probabilmente non si sbaglia, che il momento della verità sia quello della morte. Ciò accade all’uomo che in situazioni estreme deve prendere una decisione come, ad esempio, una mamma quando deve decidere se salvare la propria vita o dare alla luce il piccolo che porta in grembo.
Questo momento di verità investe non solo le persone ma anche popoli, sistemi politici ed economici. Senza aspettare quel momento, ma per poterlo rinviare quanto più possibile, gli esperti sottopongono i sistemi ai quali sono addetti a test, simulando situazioni estreme per anticipare la criticità “in laboratorio” e poter trovare in anteprima la soluzione al problema. I costruttori d’auto operano i crash test per migliorare la progettazione di mezzi più sicuri, le banche sono sottoposte a test per saggiare la solidità del proprio sistema e la tenuta. Il coronavirus è stata la prova che ha manifestato le falle del sistema Italia. Andrà tutto bene! è stata la prima parola d’ordine che ha coperto malamente il più generale e realista “si salvi chi può” e ciò non tanto dal punto di vista sanitario quanto invece da quello umano, o meglio della dignità umana.
I comunicati del Presidente del Consiglio dei Ministri a reti unificate, le cadute del ministro di Giustizia, l’impotenza di quello della salute, la creazione della terza camera parlamentare degli scienziati la dicono tutta sulla navigazione a vista che questo paese ha intrapreso e sulla teatralità delle sue istituzioni. A proposito, che fine ha fatto il Capo dello Stato?
Senza divagare oltre, vengo al dunque: alla pandemia vada il merito di aver messo a nudo tra le tante ed altre cose, la totale assenza di una avvocatura indipendente e l’ipocrisia alla quale si abbevera la maggioranza di essa. Ricordo un collega che, non molto tempo fa, dall’alto della propria specchiata e pingue dichiarazione dei redditi pontificava su come non si potesse esercitare la professione se non economicamente indipendenti, disdegnando quindi l’intervento dichiarato (art. 3) e mai praticato da quella che è chiamata ancor’oggi ipocritamente carta costituzionale, e che invece altro non è che una dichiarazione di intenti senza previsione di penale in caso di inadempienza. A ripetere il tormentone dell’indipendenza dell’avvocatura non era solo. A fargli compagnia cantante vi erano tutti coloro che nei corsi a punti papagalleggiavano in coro ripetendo frasi fatte e fritte, lontane da ogni realtà. Probabilmente tutti affetti dalla malattia professionale non tabellata della ricerca della verità processuale antitetica alla Verità, quella fatta di carne e soprattutto sangue.
La fantomatica indipendenza è poi spesso rivendicata e difesa a spada tratta anche dalla ben nota Cassa Forense. Cassa nella quale si pretende essere esercitata ogni forma di solidarietà tra colleghi. Già. Avete capito bene: so-li-da-rie-tà, proprio quella che la Cassa, in base al dettato dell’art. 3 dello Statuto, dovrebbe attuare in favore degli iscritti con iniziative “preordinate allo sviluppo, consolidamento e qualificazione professionale e culturale e alla sicurezza sociale degli avvocati…”.
Forse la sorte degli articoli 3 è proprio quella di essere lastricati di sole buone intenzioni! Ma sta di fatto che Cassa Forense, durante la non ancora estinta pandemia, ha aperto il borsellino non erogando ma anticipando per conto dello Stato € 600,00 per il mese di aprile ed € 800,00 per il mese di maggio in favore degli avvocati che abbiano come unico requisito un reddito dichiarato che non superi i 35.000.00 €, e che non godano di pensioni o altri emolumenti. Gli avvocati per poter ottenere tale importo hanno dovuto presentare apposita domanda sul sito istituzionale che garantiva un’erogazione fino a copertura della somma stanziata dallo Stato.
Se non fosse stato per l’avanzato sistema digitale avremmo visto colleghi in fila allo sportello della Cassa Forense sin dalle prime ore dell’alba, anziché vederli virtualmente in fila per ottenere il contributo.
Dov’è la solidarietà tra colleghi mediata da Cassa Forense ed esaltata negli incontri che valgono 2 punti in deontologia? Dov’è l’indipendenza dell’avvocatura e delle sue istituzioni se poi dipendiamo dagli aiutini dello Stato che già versa in difficoltà? Dov’è finita la dignità della toga della quale ci riempiamo la bocca? Dov’è la nostra dignità di cittadini, se non di uomini?
La nostra è una società che ha fatto una scelta intellettuale di rifiuto dei battitori liberi. Odia gli uomini liberi, gli esempi da seguire, gli eroi. Io no, ed è soprattutto per questo motivo che, nonostante abbia un reddito notevolmente inferiore rispetto alla media di quanti ne hanno fatto richiesta, mi sono rifiutato di mettermi in coda a Cassa Forense.
La storia della mia famiglia e la mia formazione mi hanno impedito di richiedere soldi allo Stato proprio in questo momento delicato! Si dice da più parti che l’economia abbia subito danni pari a quelli di una guerra. Bene, non dimenticherò mai l’orgoglio con il quale mio nonno sfoggiava la sua fede di ferro.
Mi sono rifiutato di gravare sulle spalle di uno Stato messo alle corde e obbligato a ricorrere al MES. L’ho fatto a spese mie per 1.400,00 euro ritenendo la mia dignità sia inestimabile.
Alzare la testa, si può. Basta volerlo pagando il costo che non è poi così alto.
Paolo Scagliarini